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Brancher chiede lo stop al processo

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Questo articolo è stato pubblicato il 25 giugno 2010 alle ore 08:05.

Domani Aldo Brancher si sarebbe dovuto presentare nell'aula del tribunale di Milano per rispondere dell'accusa di appropriazione indebita e ricettazione nell'ambito del processo sulla fallita scalata ad Antonveneta da parte della Bpi. Ma Brancher non ci sarà, almeno fino al 7 ottobre. Promosso a sorpresa ministro una settimana fa, i suoi legali ieri hanno presentato l'istanza per avvalersi del legittimo impedimento, ovvero della legge che consente di sospendere il processo nei confronti del presidente del Consiglio o dei suoi ministri per ragioni attinenti alla loro attività di governo.

La scelta di Brancher ha scatenato la reazione delle opposizioni ma anche dei finiani. «Non ho nulla da rimproverarmi», ripete il neoministro, che motiva la sua assenza al processo con gli impegni imposti dal suo nuovo incarico. Insomma «nessuno scandalo» per quella che definisce solo «una pausa estiva». Diversa la lettura che arriva però dall'opposizione. «La maschera è caduta, solo a pochi giorni dalla nomina a ministro, Brancher chiede il legittimo impedimento per fermare il processo che lo riguarda», denuncia il capogruppo del Pd alla Camera Dario Franceschini. Ma frecciate arrivano anche dai finiani. «Non sa ancora quali deleghe avrà, in quali uffici verrà ospitato, quante segretarie potrà assumere e quanti soldi avrà in dotazione il suo ministero» – si legge sul sito di Generazione Italia che fa capo a Italo Bocchino – e «il suo primo atto da ministro della Repubblica» è «eccepire il legittimo impedimento». Anche l'Udc non è da meno. Il leader dei centristi Pierferdinando Casini attacca la legge che estende anche ai ministri la possibilità di astenersi dai processi che li coinvolgono. Più dura l'Idv di Di Pietro. «Ormai per sfuggire alla giustizia – attacca Massimo Donadi – ci sono solo due strade: o la latitanza o una poltrona nel governo Berlusconi».

Adesso bisognerà capire se il pm Eugenio Fusco solleverà la questione di legittimità costituzionale (come avvenuto per Berlusconi su Mediatrade) e se la posizione della moglie del neoministro, accusata di appropriazione indebita nello stesso processo, verrà separata da quella del marito. Secondo l'accusa i due coniugi avrebbero ricevuto dazioni di denaro dall'ex ad di Bpi Giampiero Fiorani per oltre un milione di euro tra il 2001 e il 2005.

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Aldo Brancher (La Presse)

Tags Correlati: Aldo Brancher | Antonveneta | Consiglio dei Ministri | Eugenio Fusco | Generazione Italia | Idv | Italo Bocchino | Lega | Luca Zaia | Massimo Donadi | Ministero dello sviluppo economico | Pierferdinando Casini | Politica | Udc | Umberto Bossi

 

A difendere il neoministro è il premier, che ieri in Consiglio dei ministri avrebbe bollato come «polemiche assurde» quelle su Brancher di cui ha tessuto le lodi anche per aver consentito, negli anni passati, il suo riavvicinamento a Umberto Bossi («ha contribuito a far crescere un legame che ora è solidissimo»). Ma il Senatur a dirla tutta non sembra invece così entusiasta della nomina. «Se la Lega ingoia anche l'umiliazione del federalismo usato come scusa per i fatti processuali di Brancher perde qualunque credibilità rimasta», provoca il vicesegretario del Pd Enrico Letta. Bossi dice di non sapere nulla della decisione di Brancher di avvalersi del legittimo impedimento. «Chiedete a lui», replica ai giornalisti il Senatur che ancora non ha digerito lo "sgarbo" sulla delega per «l'attuazione del federalismo» con cui inizialmente era stato presentato Brancher.

Ieri ufficialmente in Consiglio dei ministri non si è parlato di deleghe. La decisione verrà presa al rientro di Berlusconi dai vertici internazionali. Un rinvio dettato anche dalla necessità di chiudere contemporaneamente anche la partita sul ministero dello Sviluppo economico. La Lega continua a premere per inviarci l'attuale titolare dell'Agricoltura, Giancarlo Galan, per potersi riprendere il ministero guidato da Luca Zaia prima dell'elezione a governatore del Veneto. Una richiesta che punta anche ad acquietare il malcontento che largheggia tra i padani, sempre più preoccupati per le sorti del federalismo ma anche per i tagli imposti dalla manovra.

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