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Bossi rilancia dopo Pontida: ora date i ministeri al Nord

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 giugno 2010 alle ore 08:08.

ROMA- «Non possiamo solo pagare e non avere niente, dobbiamo anche contare e il fine ultimo è portare un ministero a Milano, quello delle Finanze. E poi quello dell'Industria a Torino e per esempio quello del Turismo a Venezia». Dopo Pontida, Umberto Bossi torna a puntellare il suo nuovo obiettivo: si chiama, in gergo tecnico, "capitale reticolare", ma per il Senatur il trasferimento dei centri di potere deve andare in una sola direzione, verso il Nord.

Ancora in mezzo alla bufera del caso Brancher, che tanto ha indignato su siti e media, il popolo leghista, il leader del Carroccio cerca di deviare l'attenzione e di riportarla su temi più in sintonia con gli umori della sua base. Così torna a issare la bandiera della Padania e di un'eventuale secessione con la «forza»: «Noi siamo destinati a veder nascere la Padania – arringa nel corso di un'intervista ad affaritaliani.it –, non c'è santo che tenga. La Padania sta a noi se farla in maniera pacifica o violenta: io preferisco la via pacifica, perché per l'altra via c'è sempre tempo a utilizzarla. Noi vogliamo che la gente capisca che bisogna cambiare per dare ai nostri figli un sistema migliore di quello romanocentrico».


Intanto il neoministro Aldo Brancher – sotto il tiro delle opposizioni, che ne chiedono in coro le dimissioni – fa sapere di non avere alcuna intenzione di lasciare l'incarico. «Ribadisco il mio parere assolutamente fermo contro la richiesta di dimissioni», ha ripetuto ieri tornando a difendere il proprio operato: «La vicenda è stata strumentalizzata - ha argomentato -. Non so chi ha sbagliato, ma chi ci ha marciato mi sembra evidente. Avevo chiesto già tre volte un rinvio dell'udienza per i miei impegni da sottosegretario e questa era un'ulteriore richiesta. Non ho preso in giro nessuno». I suoi legali fanno inoltre sapere che lunedì prossimo presenteranno ai giudici la formale rinuncia al legittimo impedimento. Non è invece ancora chiaro se il ministro si presenterà lo stesso giorno nell'aula del tribunale.
A complicare la storia, già controversa, di questa nomina è poi la ricostruzione della sua genesi. È lo stesso Brancher a rimandare i giornalisti a un'intervista concessa ieri dal ministro Calderoli al Corriere della sera. In sintesi, il ministro leghista racconta che «per Bossi l'opzione principale» era Brancher alle Politiche agricole e Galan allo Sviluppo economico. «Ma questa ipotesi non si è realizzata per problemi di equilibri interni al Pdl – spiega Calderoli –. A quel punto si è parlato di ministro senza portafoglio». Tanto basta per far esplodere gli esponenti di opposizione: «È la dimostrazione che la nomina di Brancher prescinde dalle reali necessità del governo». «È una truffa istituzionale, da questa situazione si può uscire solo con le dimissioni di Brancher da ministro» tira le conclusioni il vicesegretario del Pd Enrico Letta. Mentre il capogruppo di Idv, Massimo Donadi, rilancia la proposta di una mozione di sfiducia unitaria delle opposizioni. Con la postilla che Idv ne presenterà comunque una in caso di mancato accordo. È però qui che il coro delle opposizioni diventa un insieme di voci discordanti. L'Udc Michele Vietti non scioglie le riserve: i centristi sono infatti restii a un'iniziativa parlamentare assieme a Di Pietro. E lo stesso Pd, nonostante Franceschini e Donadi si siano trovati d'accordo sull'idea di presentare un documento comune, esita: «Dobbiamo evitare - osserva il vicecapogruppo Alessandro Maran - che la vicenda Brancher finisca per rafforzare il centro-destra e per indebolire il centro-sinistra, con una sua divisione». Oggi si riuniranno i gruppi di opposizione per la decisione.

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Quanto a incarico e deleghe ancora mancanti, Brancher scarica la colpa su Palazzo Chigi: fa parte delle competenze della presidenza del Consiglio - spiega -. Le deleghe diventano ufficiali e definitive quando vengono pubblicate sulla Gazzetta ufficiale: non sono certo io che devo pubblicare questa cosa».

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