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I mercati premiano la Fiat globale che va in Serbia. Ma governo e Pd chiedono di riaprire il dialogo

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 luglio 2010 alle ore 08:58.
L'ultima modifica è del 22 luglio 2010 alle ore 08:06.

Sergio Marchionne, il manager italiano partito da un sobborgo di Toronto, ha risanato la Fiat evitando che il nostro paesaggio industriale perdesse il suo fondamento storico che, ancora oggi, vale un buon 3% del Pil. Con lo scorporo dell'auto annunciato a Detroit, Fiat competerà sui mercati globali. John Elkann, l'azionista, ha condiviso con Marchionne l'elaborazione di una strategia dura e complessa che ha trasformato l'azienda fondata dal trisnonno, il mitico Senatore Giovanni, da impresa italiana a controllo familiare, pur col fascino cosmopolita del'Avvocato Agnelli, a gruppo internazionale.

La prima lingua non è l'amato dialetto piemontese, parlato nelle fonderie come nelle "alte sfere", identità o vezzo di appartenenza, ma l'inglese standard, secco e sintetico, del mondo globale.

I luoghi hanno un significato, e Elkann ha scelto di presiedere il consiglio di amministrazione di Fiat a Auburn Hills, quartier generale di quella Chrysler la cui ristrutturazione sta ottenendo ottimi, non buoni, risultati. Calendario dello spin off auto a parte, è questo l'elemento da sottolineare. Nasce un atlantismo industriale in cui, per una volta, le carte le dà l'Italia. Gli americani hanno ripreso a fidarsi del marchio Chrysler (407mila vetture vendute nel secondo trimestre, il 22% in più di quello precedente), e Marchionne ha parlato per la casa madre italiana di un trimestre, il secondo, «eccezionale», che ha visto un utile di gruppo di 113 milioni di euro, contro i 90 milioni attesi dagli analisti.

La borsa, che ha premiato tutti i titoli del gruppo, ha apprezzato l'impianto dello scorporo e ha applaudito la performance inattesa. La sospettosa Moody's, interessata ad approfondire le dinamiche finanziarie di un'operazione complessa e coraggiosa sotto il profilo industriale, mette per cautela sotto osservazione il rating. Routine, fra i mercati finanziari e gli autosaloni, fra le stanze ovattate del capitalismo internazionale e le linee ultra-automatizzate che sfornano vetture.

L'asse Marchionne-Elkann sta modernizzando una delle più antiche aziende italiane, l'unica che nel Novecento è stata fino in fondo una "impresa-istituzione", sincronizzandola con il tempo nuovo. La nostra era, con la vecchia America e la vecchissima Europa prive di egemonie e rendite di posizioni.

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Tags Correlati: America | Annibaldi | Auburn Hills | Automobili Globale | Cesare Romiti | CGIL | Chrysler | Fiat | Gianni Agnelli | Governo | Imprese | Italia | John Elkann | Luciano Lama | Moody's | PD | Sergio Marchionne |

 

Fuori dal perimetro delineato dal management e dalla proprietà restano però altri elementi del capitalismo italiano. Quasi tagliati fuori dalla velocità globale impressa alla Fiat. La politica innanzitutto. Il governo ha affrontato il dossier Pomigliano senza un titolare del dicastero dello Sviluppo economico, dopo le dimissioni di Scajola e l'interim lungo del premier Berlusconi. E l'opposizione, che nei giorni più caldi di fronte ai cancelli dello stabilimento campano sembrava rappresentata solo dal simpatico blogger Zoro, da una parte minoritaria del sindacato e dalle voci dei riformisti, relegate nei giornali perbene.

Certo, è cambiato tutto, da quando Gianni Agnelli determinava le relazioni industriali discutendo allo stadio con Luciano Lama e, nell'"impresa-istituzione", gli intellettuali coordinati dai fratelli Annibaldi elaboravano, sotto il controllo di Cesare Romiti, raffinate strategie culturali - capaci di coinvolgere perfino la stampa più operaista - in cui, poi, si inserivano le singole trattative con i sindacati. Sergio Marchionne, con la sua razionalità manageriale di scuola nordamericana, è un "tough guy", un tipo duro che sa ricorrere, con chi in fabbrica esce dalla correttezza, al licenziamento. E le sue scelte, alla lunga, cambieranno in maniera radicale le relazioni industriali. Il caso Pomigliano, nonostante il mancato plebiscito del referendum, è aperto. E, dopo l'esito del consiglio di amministrazione di Detroit-Michigan, sarebbe interessante che, dalle parti di Corso d'Italia 25 Roma-Italia (sede Cgil), gli si riconoscesse di avere salvato la Fiat e di averla portata nel mondo, con un gesto di apertura, dopo il muro contro muro degli ultimi giorni. Perché Fiat è cambiata, il mondo "automotive" è cambiato e il sindacato deve cambiare in parallelo. Non per mutare natura, no: ma perché solo un sindacato capace di risposte globali al mondo globale farà davvero gli interessi dei lavoratori, di chi il lavoro lo sogna. A costo di deludere gli ultimi chansonnier dell'ideologia perduta.

La nuova monovolume sarà prodotta in Serbia.

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