Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 22 luglio 2010 alle ore 08:05.
Man mano che si fa più evidente che la ripresa è e rimarrà fiacca, in Europa e negli Usa cresce il coro di chi vuole prorogare a tempo indefinito gli aggressivi stimoli di bilancio. Quei governi che invece propongono di ridurre gradualmente il deficit e in prospettiva di stabilizzare i livelli del debito, come Germania e Regno Unito, vengono accusati di farsi portabandiera di un ostinato rigorismo. Se solo conoscessero le verità lampanti del keynesianesimo, recita il coro, i leader di questi paesi si renderebbero conto che la loro austerità rischia di precipitare economie già deboli in recessioni a W, o addirittura in una depressione prolungata.
È indubbio che l'economia globale è afflitta da una colossale incertezza, ma chi si scaglia contro il rigore nei conti pubblici ha davvero ragione da vendere? A mio parere no. È vero, la crescita della produzione probabilmente continuerà a segnare il passo rispetto a una normale ripresa post-recessione. Sì, i problemi di debito pubblico dell'Europa e le difficoltà delle banche probabilmente non scompariranno tanto presto. Ma i problemi di debito pubblico sono un tipico effetto collaterale quando si verifica un'ondata di crisi finanziarie internazionali. Anche se la congiuntura attuale può sembrare preoccupante, la normalità dell'andamento della crisi a tutt'oggi non prefigura la necessità di misure di spesa originate dal panico.
È una follia ignorare i pericoli sul lungo periodo di una massa di debito che ha già raggiunto livelli record in tempo di pace. Il fatto che i mercati non sembrino chiedere una correzione di rotta alle economie più avanzate non può essere considerato come prova che l'aumento del debito è esente da rischi. Anzi, i dati in generale suggeriscono che i tassi d'interesse normalmente non hanno una reazione lineare all'evoluzione del debito.
Pertanto, un contesto di mercato apparentemente benevolo può peggiorare quasi all'improvviso quando un paese si avvicina al tetto massimo di indebitamento. Anche gli Usa dovranno dovranno procedere prima o poi a una drastica correzione di rotta, se non rimetteranno in ordine i bilanci.
Qualcuno cita il Giappone, che ha un rapporto debito/Pil quasi del 200%, come caso emblematico di paese indebitatissimo con bassi tassi di interesse. Il "successo" del Giappone, ovviamente, è dovuto in gran parte alla capacità del governo di vendere i titoli di stato sul mercato interno. Come farà il paese del Sol Levante a gestire i conti pubblici con il calo dei risparmi dei pensionati e la rapida diminuzione della forza lavoro, resta da vedere.