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Questo articolo è stato pubblicato il 30 luglio 2010 alle ore 20:36.
La rottura era ormai inevitabile, tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini era venuta meno la fiducia. «E il presidente del Consiglio aveva percorso tutte le strade per cercare un nuovo accordo, ma Fini in realtà poneva condizioni che non potevano essere soddisfatte». Dopo lo strappo deciso dall'ufficio di presidenza Pdl e la formazione di gruppi parlamentari autonomi da parte dei finiani, Giorgio Stracquadanio è convinto che non ci siano problemi di tenuta per il governo. Anzi prevede che nei mesi futuri alcuni fedelissimi del presidente della Camera che hanno aderito a Futuro e libertà possano tornare nel Pdl.
«Tutto è accaduto perché Gianfranco Fini attraverso la cosidetta "bandiera della legalità" ha cercato di conquistare la leadership del centrodestra colpendo il leader attuale sul piano giudiziario. Sperava che Berlusconi fosse costretto dall'aggressione delle inchieste a cedere il passo. E contava a quel punto di esserne il successore per il suo ruolo istituzionale e di cofondatore del Pdl. Era convinto che anche Berlusconi avrebbe alla fine in qualche modo contribuito all'intesa alla quale avrebbe partecipato pure Tremonti, garantendo così l'appoggio della Lega. Questo avrebbe consentito a Fini di chiudere la legislatura per poi presentarsi a nuove elezioni come leader del Pdl. Come Sarkozy ha fatto con Chirac. Con la differenza che Fini non è uomo di rottura ma di conciliazione e invece dell'arma politica avrebbe usato l'arma giudiziaria. È stato come fare intelligenza con il nemico».
Ora però se i 33 deputati e i 10 senatori che hanno aderito a Futuro e libertà faranno mancare i loro voti qualche problema per il governo ci sarebbe.
«Non vedo più problemi di quanti ne vedessi prima, anzi ne vedo meno. E questo perché so che dei 33 deputati che hanno aderito alla Camera almeno la metà hanno posto alcune condizioni per aderire al gruppo. Non vogliono avere conflitti sul programma elettorale e sull'azione di governo, cioè non vogliono votare contro il governo. Inoltre non vogliono votare un governo diverso dall'esecutivo Berlusconi. E poi non gradiscono come portavoce del loro gruppo, come elementi di spicco e rappresentativi, coloro che sono stati deferiti ai probiviri. Questo significa che se queste condizioni nel tempo non saranno rispettate allora potrebbero decidere di lasciare il gruppo. Ma ci sono anche divisioni al loro interno, tra coloro che vogliono abbattere il governo Berlusconi e coloro che non lo vogliono fare. In più ora agli occhi degli elettori tutto sarà chiaro: se il governo dovesse andare sotto per il loro voto mancato, la responsabilità sarebbe chiara a tutti».