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Cacciari al Sole.com: «Governi istituzionali fuori da ogni logica. Solo Chiamparino può salvare il Pd»

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 agosto 2010 alle ore 19:16.

La fine del bipolarismo? «In politica tutto può riprendersi, ricominciare. Ma certamente la forma bipartitico-bipolare che sembrava dover assestare il sistema politico italiano, è crollata». Massimo Cacciari vede nel Pdl e nel Pd due crisi complementari e considera le ipotesi di governi istuituzionali «fuori da ogni logica». La Lega? «Si rafforzerà e si rivelerà l'anello debole del berlusconismo». Nel Pd le cose potrebbe migliorare solo con Sergio Chiamparino, l'unico leader «capace di rappresentare una prospettiva nazionale che si attua anche regionalmente».

Dopo la rottura tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, dice Cacciari «quella formula centrata sui due partiti - Pdl e Pd - non regge, perché nè il Pdl nè il Pd sono riusciti a trovare una omogeneità culturale e politica interna sufficiente a garantire prospettive di governabilità. Anche se il bipolarismo italiano era fasullo. Il Pdl poteva governare soltanto con un'alleanza con la Lega, una forza politica largamente estranea alle matrici del centrodestra e il Pd doveva appoggiarsi a un'altra forza politica, l'Idv di Di Pietro, altrettanto estranea alle matrici socialdemocratiche e cattolico-liberali del centrosinistra. Quindi il bipolarismo vero e proprio non c'è mai stato, faceva piuttosto pensare a due grandi partiti che alla lunga egemonizzassero i loro alleati. Invece siamo andati nella prospettiva esattamente opposta e i grandi partiti sono saltati per aria».

Quindi vede anche la strada del Pd sempre più in salita?
«Ora tutto si gioca nel Pdl perché loro sono al governo, come all'epoca del governo Prodi tutto si giocava all'interno dell'area di centrosinistra. Il paese è interessato a chi governa più che a chi fa l'opposizione. Ma quella del Pdl e quella del Pd sono due crisi complementari. E hanno ragioni identiche: nessuno dei due è un partito. Il primo è una pseudo società, una pseudo azienda. L'altro non è riuscito minimamente a trovare una destinazione comune, sono scatolette giustapposte, ogniuna con la propria rendita, la propria tradizione».

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Crede che andremo più facilmente incontro a elezioni anticipate o a governi istituzionali?
«Governi istituzionali sono fuori da ogni logica, perché Berlusconi non accetterà mai di passare tranquillamente il testimone, per esempio a Tremonti. Bisogna ignorarne psicologia, carattere, storia, per pensarlo. È un'utile provocazione quella proposta da Casini e da altri, ma non si farà mai. Quando questa maggioranza venisse meno Berlusconi cercherà in tutti i modi di andare a elezioni anticipate. E con il porcellum significa che Berlusconi, con il 30%, insieme alla Lega, farà l'amplein. Quindi perché mai dovrebbe cedere all'ipotesi di governi di transizione? Non ha senso pensarlo».


Quanto vede vicina questa possibilità?
«Silvio Berlusconi farà di tutto per andare a elezioni anticipate, ma deve stare attento. Se all'opinione pubblica risultasse troppo evidente il suo interesse ad andare al voto allora pagherebbe un forte dazio. Credo che cercherà le elezioni anticipate ma con la possibilità di darne la colpa a Gianfranco Fini, come se lui fosse il tradito. È quello che ha già fatto nel 2001 con risultati notevoli. Perciò l'opposizione deve stare attenta a non cadere nei trappoloni dei Di Pietro, dei Vendola, perché in caso di ricorso alle urne rivincerà Berlusconi».

Udc, Api, finiani e Mpa si sono incontrati e hanno deciso di comune accordo l'astensione sulla mozione di sfiducia dell'opposizione a Giacomo Caliendo. Come valuta questo passaggio?
«Positivamente. È chiaro che queste forze di centro dovranno trovare un'intesa che vada al di là della contingenza attuale, anche in prospettiva elettorale. Dovranno trovare una forma di convivenza culturalmente e politicamente potabile, che non possa essere tacciata di trasformismo. Cercare un'intesa per queste forze è una prospettiva obbligata. Perché in politica alcune cose si scelgono, altre sono stati di necessità e non si discutono».

Torniamo a Berlusconi. Allo stato attuale la compatezza con la Lega non sembra in discussione.
«Questo non è detto. La Lega potrebbe essere invogliata ad andare a elezioni anticipate perché così disfa il Pdl al Nord. È miracolosamente immune da ogni tempesta giudiziaria e al Nord potrebbe avere un successo ancora più clamoroso di quello delle regionali. E poi ha interesse ad appoggiare Silvio Berlusconi, ma fino a un certo punto. Se vedesse che non riesce a portare a casa il federalismo fiscale, potrebbe trasformarsi nell'anello debole del berlusconismo. Ora è l'anello forte, ma Bossi è un animale politico vero e spregiudicato e non ci metterebbe nulla a mollare Berlusconi. Quella di Bossi è una politique d'abord al 1000 per cento. Al di là del giudizio sulla Lega, si tratta di una prospettiva molto pericolosa, non so se comprendiamo cosa significherebbe un Nord con la Lega al 40 per cento. È una forza ancora limitata territorialmente e che non ha mai abbandonato le sue idee di autonomia e di riassetto radicale del paese, anzi prende voti perché mantiene queste idee. Lo scenario non sarebbe piacevole nè per il Pdl nè per il Pd. Mi auguro che sia nel centrodestra che nel centrosinistra ci siano persone che ragionano, come nel mio Veneto si era messo a ragionare Galan».

Non vede il Pd preparato a una sfida di questo genere...
«Temo che il Pd che sognavo e per cui ho cercato di lavorare sia qualcosa che ormai non possa più nascere. Ormai la sua immagine, e in politica le immagini contano eccome, è quella di una forza di ispirazione sostanzialmente socialdemocratica, che guarda dal punto di vista politico-culturale a sinistra. Quindi la sua possibilità di rafforzarsi come partito nazionale di centrosinistra è molto limitata. Certo, tutto può accadere, ma non vedo segni di resipiscenza. Non vedo grandi iniziative programmatiche per caratterizzare il partito sui temi delle politiche sociali e delle politiche occupazionali. Credo che Sergio Chiamparino abbia ragione nel denunciare questa persistente assenza di strategia soprattutto sulla questione settentrionale. Se emergesse finalmente, cosa che auspico da due anni, una candidatura Chiamparino le cose potrebbero migliorare. Ma le mie speranze sul Pd sono ridotte al lumicino».

Ripercorriamo la sua idea del Pd al Nord?
«Il Pd al Nord non è un Pd da solo, è un Pd che nazionalmente fa propria una strategia federalista coerente e radicale, una visione del welfare che superi ogni nostalgia pubblicistico-statalista e che si organizzi in modo federale al suo interno dandosi una forte autonomia, una caratterizzazione assolutamente autonoma nelle regioni settentrionali. L'unico leader che potrebbe rappresentare questa prospettiva, che è una prospettiva nazionale che poi si attua anche regionalmente, ma resta una prospettiva nazionale, è Sergio Chiamparino».

A Milano si avvicina la sfida delle amministrative ma il Pd sembra un po' indietro
«È indietro perché stanno ragionando, non perché non sanno cosa fare. Hanno capito che una candidatura targata Pd non potrebbe essere in alcun modo vincente e stanno riflettendo per vedere di vincere, non soltanto di testimoniare. Per il momento la candidatura di Giuliano Pisapia è tutt'altro che una cosa negativa. È una candidatura di sinistra che non vincerà mai a Milano, e Pisapia lo sa meglio di chiunque altro perché è una persona intelligente, ma motiva un largo settore di elettorato di sinistra e non solo. È una candidatura buona, di un uomo assolutamente stimato. Si potrebbe andare alle primarie con un candidato più di centro, per usare i vecchi schemi, un candidato di grande spessore, alternativo alla Moratti. Si potrebbero fare delle belle primarie, come è stato a Venezia tra il candidato da me sostenuto e un candidato di sinistra altrettanto rappresentativo e stimato di Pisapia, Gianfranco Bettin. Perciò le cose apparentemente sono in stand by ma in realtà stanno maturando bene».

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