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Caldo infernale, puzza di zolfo e aria irrespirabile. Vi racconto come si vive nell'incubo di Mosca

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 agosto 2010 alle ore 19:46.

MOSCA - La tregua è durata forse un'ora, a metà giornata: sembrava che quel terribile odore di zolfo e torba bruciata si fosse attenuato. Non il caldo infernale però. Il cielo restava bianco latte, ma la visibilità era migliorata. I turisti intrappolati a Mosca in vacanze che non dimenticheranno ne hanno approfittato per fare fotografie sulla Piazza Rossa, almeno si vedeva qualcosa. Si era alzato un poco di vento, si vedevano perfino muoversi le foglie sugli alberi.

Poi tutto è tornato come prima. Lo smog è ripiombato su Mosca, sui suoi abitanti sfiniti da cinquanta giorni di afa. Una nebbia immobile e bollente, e avvelenata: la concentrazione di sostanze nocive, sia pure in miglioramento, era superiore di tre volte e mezza ai livelli accettabili per la salute.

In casa, chi è fortunato si aggrappa al condizionatore come a una zattera di salvataggio. Ogni altra stanza è inavvicinabile. Tutto è bollente, nei cassetti, negli armadi. Forse la cosa peggiore è non poter aprire le finestre. Si vive come sotto assedio: se lo fai, l'odore di bruciato si infila di corsa all'interno, si attacca alla gola. L'unico rifugio è il bagno. Una collega giapponese (senza condizionatore) ha dormito nella vasca piena d'acqua.

Per questo in pochi ascoltano i consigli dei medici: non uscite. Si esce per aggrapparsi al primo soffio di vento, per tuffarsi nella prima fontana, per passeggiare con il cane sull'erba gialla dei parchi. Si esce perché non se ne può fare a meno. In una città di 10 milioni di abitanti che in gran parte non possono fuggire all'estero, la vita continua. Una parvenza di normalità che fa marciare i soldati in caserma, nell'aria infuocata, che costringe operai, vigili o autisti dei mezzi pubblici a lavorare comunque, mascherina alla bocca oppure no, e chissà quanto ne risentirà la loro salute. La mascherina, un altro consiglio che pochi in realtà osservano: il proprio fiato bollente che ti si riversa in faccia, un tormento in più.

Il cuore si spezza a guardare la fatica degli anziani e dei bambini. La gente ha il volto sfinito, i capelli appiccicati alla testa, l'aria appassita come la verdura nei banchetti dei mercati. Si incrociano sguardi di intesa, come se ci si sentisse uniti dalla difficoltà sperimentata insieme. C'è fumo anche nel metrò, anche lì ti insegue l'odore diabolico. Non è previsto che piova. Non nei prossimi giorni. Tutto ciò che si può sperare è che si levi il vento giusto, e porti via l'incubo di Mosca. Intanto però il fumo si è esteso a nord fino a Pietroburgo. Non si vede ancora, lo tradisce l'odore di bruciato che ha cominciato a diffondersi nei quartieri meridionali.

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