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Fini contrattacca sull'appartamento di Montecarlo: «Tutto regolare»

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 agosto 2010 alle ore 17:25.

La «battaglia per la legalità nella politica» non si arresterà sulla soglia del 14 di Boulevard Princesse Charlotte, l'appartamento monegasco dove abita Giancarlo Tulliani, fratello della compagna di Gianfranco Fini; «Chi ci spera, è meglio che si rassegni». Parola del presidente della Camera, che in una lunga nota diffusa nel pomeriggio rompe il silenzio sulla querelle immobiliare sollevata nei giorni scorsi da un'inchiesta a puntate de Il Giornale diretto da Vittorio Feltri: «L'appartamento di Montecarlo - scrive Fini - era in condizioni fatiscenti, ed è stato venduto a un prezzo superiore al valore stimato. Dei passaggi successivi non so nulla, e quando ho appreso da Elisabetta Tulliani che il fratello Giancarlo aveva in locazione l'appartamento, la mia sorpresa e il mio disappunto sono facilmente intuibili».

Dopo una settimana sulla graticola, il presidente di Montecitorio entra in prima persona nella querelle immobiliare, ribadisce il proprio «benvenuto» alle indagini e attacca ad alzo zero gli "alleati" di area Pdl: «Il caso - scrive Fini - è diventato tale per l'ossessiva campagna di alcuni giornali (Il Giornale di Feltri, appunto, e Libero), che fingono di ignorare che la vicenda non ha ad oggetto soldi o beni pubblici, ma solo la gestione di un'eredità a favore di Alleanza nazionale». Ben vengano comunque rogatorie e interrogatori, perché «a differenza di altri non ho l'abitudine di strillare contro i giudici comunisti».

Passando al merito, il "cofondatore" del Pdl ripercorre in otto punti la vicenda dell'appartamento monegasco, spiegando di non avere «nulla da nascondere, né tantomeno da temere».

L'eredità «scomoda»
Prima di tutto, l'appartamento al centro della polemica è «di modeste dimensioni», e una volta ereditato dalla vedova Colleoni era «in condizioni fatiscenti», e fu valutato 450 milioni di lire dalla società che amministra il condominio. Una volta iscritto a bilancio, l'immobile non era di grande aiuto per i conti di An, anzi «rappresentava unicamente un onere (spese di conominio e altro). Per cui - prosegue Fini - autorizzai il senatore Pontone alla vendita, come accaduto altre volte in casi analoghi». L'unica offerta, nella ricostruzione che smentisce l'arrivo di altre proposte più allettanti, arriva da una società individuata da Giancarlo Tulliani, fratello di Elisabetta, «in base alle sue relazioni e conoscenze del settore immobiliare a Montecarlo», ed è di 300mila euro (cioè più dei 450 milioni di lire valutati al momento dell'eredità». La vendita avviene il 15 ottobre 2008, davanti al notaio Aureglia Caruso, e «sulla natura giuridica della società acquirente e sui successivi trasferimenti non so assolutamente nulla».

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Procedura normale
L'iter disegnato dall'ex leader di An è del tutto ordinario, uguale a quello «seguito altre volte in casi analoghi». Per sottolinearlo, Fini rievoca la sorte di altri beni dell'eredità Colleoni, tra cui un appartamento a Ostia, uno a Roma in via Somalia e alcuni terreni a Monterotondo, proprio il comune in provincia di Roma dove risiedeva Anna Maria Colleoni. Questi beni, portati al centro delle polemiche e delle denunce da alcuni ex finiani della zona ora aderenti alla Destra di Francesco Storace, «furono venduti in tempi diversi, e con le stesse modalità. In nessuna occasione - è la ricostruzione del presidente della Camera - alcun dirigente di An contestò o sollevò perplessità sulle avvenute vendite». Nessun tradimento, insomma, della «giusta battaglia» a cui il testamento Colleoni vincolava l'uso degli immobili, come invece ipotizzato dalle denunce partite dai membri della Destra di Storace. Secondo Fini quella giusta battaglia «consisteva nel rafforzamento del partito anche attraverso nuovi introiti finanziari, e non certo attraverso l'utilizzo di terreni o appartamenti (specie se all'estero) non necessari all'attività politica.

L'epilogo
Tutto bene, dunque? Fino a un certo punto, perché dopo la vendita l'immobile esce dal radar di Fini, ma vi rientra quando apprende dalla compagna Elisabetta Tulliani che proprio il fratello Giancarlo ne era diventato il locatario. Si accendono qui «una sorpresa e un disappunto facilmente intuibili». Screzi familiari che però non possono fermare la battaglia su «trasparenza e legalità» che sta facendo ballare la maggioranza di governo. «Chi ci spera - chiosa Fini - è meglio che si rassegni», anche perché «in trent'anni di attività politica non ho mai avuto problemi di sorta con la giustizia».

Le reazioni

La nota di Fini non chiude ovviamente la polemica nel centrodestra. Per il portavoce del Pdl Daniele Capezzone «le spiegazioni si fermano proprio dove sarebbero dovute cominciare, e cioè sul punto che ha, diciamo così, suscitato 'sorpresà anche nell'onorevole Fini», mentre Daniela Santanché torna a invocare le «dimissioni inevitabili» del presidente della Camera.

Più articolate le implicazioni della vicenda nel mondo ex An, come dimostra l'intervento di Ignazio La Russa, oggi coordinatore del Pdl: «Dalla dichiarazione di Fini si evince chiaramente che fu lui ad autorizzare» la vendita, rispedendo al mittente le critiche di ricordava che la gestione del partito era all'epoca in mano ai "colonnelli" (come ha scritto da ultimo Flavia Perina sul Secolo d'Italia). «In ogni caso - conclude La Russa - rimane per me un mistero il perché non mi sia stato mai fatto nemmeno un accenno generico o informale su questa operazione immobiliare».

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