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Questo articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2010 alle ore 13:20.
È salito a 61 morti e 125 feriti il bilancio dell'attacco kamikaze contro un centro reclute dell'esercito iracheno a Baghdad. Lo riferiscono fonti sanitarie irachene. L'attentato, uno dei più cruenti di questi ultimi mesi in Iraq, è avvenuto in pieno Ramadan, il mese sacro di digiuno per i musulmani.
Secondo le prime ricostruzioni, un kamikaze con indosso un giubbetto esplosivo è riuscito a eludere le rigide misure di sicurezza e a entrare nella piazza antistante l'edificio dell'ex ministero della difesa, nel centro cittadino, dove ora ha sede il quartier generale dell'11/ma divisione dell'esercito. L'attentato è avvenuto intorno alle ore 7.30 (le 5.30 in Italia), proprio quando si stavano radunando in piazza circa 250 reclute, pronte a unirsi ai reparti dell'esercito nazionale in vista della riduzione a 50.000 unità delle forze militari Usa nel Paese entro la fine del mese. «Il nostro impegno militare in Iraq sta cambiando» aveva dichiarato il presidente statunitense, Barak Obama. Facendo fede a quanto promesso in campagna elettorale le operazioni militari di abbandono avranno inizio il 31 agosto, lasciando il posto ad una presenza civile sotto la guida di diplomatici.
Secondo le testimonianze rilasciate alle tv panarabe al Jazira e al Arabiya da alcuni feriti, «al momento dell'esplosione le reclute si stavano allineando ed era un momento di grande confusione». Il portavoce delle operazioni militari di Baghdad, in una dichiarazione alla tv di Stato al Iraqiya, ha dal canto suo affermato che la piazza scelta per il raduno militare non era adatta all'evento «perchè situata nel centro della città, solitamente affollata e troppo vicino al terminal di bus e taxi».
Questo nuovo attentato avviene a due settimane dalla fine ufficiale della missione in Iraq dell'esercito statunitense. I 50mila militari americani che resteranno nel Paese lasceranno l'Iraq alla fine del 2011 in virtù di un accordo concluso tra i due governi nel novembre 2008. Questo ritiro programmato dei soldati americani suscita però i timori dell'alta gerarchia militare irachena. Il generale Babaker Zebari, capo di stato maggiore, lo ha giudicato prematuro sottolineando che l'esercito iracheno, forte di 200mila uomini, non sarà in grado di assolvere a pieno la sua missione prima del 2020.