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Fideiussioni «tossiche», bancarotte pilotate e truffe sugli incentivi, così la crisi finisce in tribunale

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2010 alle ore 09:21.

IL reato contestato è la bancarotta fraudolenta per distrazione, ma il meccanismo utilizzato è quello delle società collegate, per cui i beni dell'impresa in decozione vengono distratti in favore di altre società del gruppo "informale", destinate a sopravvivere. Nel caso specifico, secondo l'accusa, Agile è stata «svuotata» di tutto, tranne che dei lavoratori, e 11 milioni di euro sono defluiti verso altre società del gruppo. «È il segno di una tendenza», riflette Rossi, ricordando che a un certo punto la società ha tentato di evitare il fallimento proponendo davanti al Tribunale un concordato e, a sostegno di questa proposta, ha portato delle fideiussioni. Fideiussioni fittizie, firmate dalla Cofiart, un'altra società nota alle cronache e alle aule di Piazzale Clodio, colpita da arresti e sequestri.

«Con una buona dose di ironia – osserva Rossi – il ministro Tremonti ha detto che l'Italia è stata relativamente al riparo della tempesta dei derivati perché da noi si maneggia poco l'inglese finanziario. È vero. Ma si conosce abbastanza bene il latino e l'antichissimo istituto della fideiussione. E così è nato il sistema delle fideiussioni fittizie, garanzie patrimoniali amplissime, rilasciate spesso per somme enormi da società che non hanno i requisiti di solidità patrimoniale e finanziaria per garantire alcunché». Si tratta di fideiussioni particolarmente «allettanti perché costano meno delle garanzie effettive e vengono usate, spiega sempre Rossi, per gli scopi più svariati: «Garantire la solvibilità di imprese che partecipano a gare pubbliche, sorreggere ingannevoli proposte di concordato o improbabili piani di risanamento di imprese in difficoltà, ottenere cospicue rateizzazioni dei debiti tributari». Peccato, però, che in questi casi la fideiussione sia soltanto un «pezzo di carta». Il creditore, sia esso un privato o il fisco, non ha di fronte un garante effettivo cui rivolgersi in caso di inadempimento del debitore principale, ma una società fantasma che, dopo aver incassato per qualche anno il prezzo delle false fideiussioni, viene spogliata e condotta al fallimento. Osserva, quindi, Rossi: «Le fideiussioni fittizie possono avere lo stesso effetto squilibrante sull'economia dei derivati tossici, come i "credit default swap" (titoli che garantiscono un imprenditore contro il fallimento dei propri debitori), che non vengano onorati dai soggetti che li hanno rilasciati».

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Il reato contestato, in queste ipotesi, è quello di abusivismo finanziario, previsto dall'articolo 132 del Testo unico bancario e, nel caso di Cofiart, ha portato in carcere 7 persone. L'inchiesta è ancora in corso e non è l'unica. «È particolarmente preoccupante – aggiunge Rossi – che il fenomeno delle fideiussioni fittizie si sia diffuso anche sfruttando un istituto positivo come i confidi», introdotti da una legge del 2003 per agevolare l'accesso al credito delle piccole e medie imprese. In sostanza: le stesse associazioni di settore possono fare da trait d'union tra le banche e le piccole e medie imprese associate in un consorzio; i confidi diventano una sorta di intermediari e di garanti, che sollevano gli istituti di credito dall'onere dell'istruttoria e garantiscono la solvibilità dei loro associati. «Su questo schema virtuoso si inserisce un'attività criminale; un consorzio fidi come Cofiart può travalicare il suo raggio di azione e presentarsi sul mercato a rilasciare polizze fideiussorie, ovviamente in modo abusivo Così, per tornare ad Agile, quando la società portò in Tribunale, a sostegno della proposta di concordato, le fideiussioni di Cofiart, il Pm d'udienza ebbe buon gioco a rivelare che il presunto fideiussore era sotto inchiesta. E il Tribunale dichiarò il fallimento di Agile.
Più in generale, le indagini ed i procedimenti in corso dicono che nel settore delicatissimo delle attività riservate alle banche (la raccolta e l'impiego del risparmio, il rilascio di fideiussioni) si sono immessi, sempre abusivamente, istituti di credito come la fantomatica «Rappresentanza italiana della Kuban Bank», i cui dirigenti sono stati arrestati e sono in attesa di processo, o finanziarie spregiudicate come la Finabo, tuttora al centro di un'indagine che vede in veste di persone offese centinaia di piccoli risparmiatori.
Dunque: collegamenti tra società per pilotare le bancarotte, false fideiussioni. E non solo.

Hanno avuto un'impennata anche i trasferimenti all'estero delle società, finalizzati a evitare la dichiarazione di fallimento in Italia e i conseguenti processi per bancarotta fraudolenta. È «il filone del futuro», dicono in Procura, mantenendo il più stretto riserbo sulle indagini in corso, riguardanti un numero elevatissimo di società. È un meccanismo «inquietante, pericoloso e assolutamente da contrastare», segnala Rossi, dopo averlo ricostruito: l'impresa può essere dichiarata fallita entro un anno dalla cancellazione nel registro delle ». imprese, ma, se si trasferisce all'estero,dopo un anno non può più fallire in Italia. Con la conseguenza che i suoi dirigenti non possono più essere chiamati a rispondere in sede penale per fatti di bancarotta fraudolenta.
È diventata una delle strategie più frequenti per evitare il processo ed evadere il Fisco, con cui hanno debiti molte società nel mirino degli investigatori, decisi a dare battaglia. Anzitutto, dimostrando che il trasferimento all'estero finalizzato al successivo fallimento può essere considerato nullo perché in frode alla legge, e poi puntando a individuare gli ideatori e i venditori di questa «tecnologia dell'evasione fiscale», un vero e proprio pacchetto offerto a imprenditori senza scrupoli.
Infine, un altro strumento, in sé utile e positivo, che ha subìto una vera e propria torsione criminale è quello degli incentivi per l'informatizzazione delle imprese: un'accurata indagine della Procura romana ha rivelato collusioni tra ex-funzionari del ministero delle attività produttive (ora dello sviluppo economico), alcuni responsabili della concessionaria competente a svolgere l'istruttoria (Mcc, Medio credito centrale) e i consulenti delle imprese presentatrici delle domande di concessione di credito fiscale nel quadro dei c.d aiuti de minimis. Con il risultato di liste mendaci delle imprese aventi diritto, che spesso, poi, ne facevano subentrare altre (fuori graduatoria) al loro posto; e con l'ulteriore risultato «dell'indebito arricchimento delle società beneficiarie, destinatarie di crediti fiscali, e danno del ministero dello sviluppo economico, che erogava fondi destinati a incentivare lo sviluppo delle tecnologie informatiche a soggetti in concreto privi dei requisiti previsti».

Con questo sistema truffaldino è evaporata più della metà dei soldi pubblici, a beneficio di tanti (funzionari pubblici, commercialisti) ma non delle imprese aventi diritto. «Una voce di spesa pubblica apparentemente dinamica, positiva, si è trasformata così – osserva Rossi – in una voce parassitaria, perché incentivi mirati all'innovazione tecnologica delle imprese si sono dispersi in mille rivoli e solo in parte hanno raggiunto imprese realmente meritevoli e interessate».
Un panorama preoccupante, dunque. Ma il numero dei procedimenti e delle ordinanze di custodia cautelare emesse a Roma, insolite per questi reati, tipici dei colletti bianchi, testimoniano che l'attività di contrasto del versante criminale della crisi sta diventando sempre più intensa e sistematica. «Anche perché la procura, i nuclei specializzati di poliziavalutaria e tributaria della Gdf e l'unità di informazione finanziaria della Banca di Italia – conclude Rossi – hanno imparato a lavorare a stretto contatto sui "fatti" e sui "fenomeni", unendo, come mai prima, forze e competenze».

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