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Questo articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2010 alle ore 08:04.
Di bolla in bolla abbiamo trascorso gli ultimi 12 anni tra euforia e depressione. L'euforia ce la procurava la bolla man mano che si gonfiava. La depressione ci assaliva tutte le volte che la bolla scoppiava: come dopo la mania di Internet nel 2000; dopo che i prezzi delle case, in America, in Gran Bretagna, Spagna o in Australia, ricominciavano a scendere dal 2007; dopo che tutta la liquidità che s'era creata in anni di euforia finanziaria era diventata carta straccia tra il 2007 e il 2008. E la depressione che ci hanno procurato le ultime due bolle ha rischiato di non essere solo psicologica, perché da quella che è stata definita la peggior recessione dagli anni Trenta a una nuova Grande Depressione il passo era breve. Secondo qualche economista, non è detto che non possa ancora accadere.
Alan Greenspan, il presidente della Fed che per quasi 20 anni ha guidato la politica monetaria americana e condizionato quella di mezzo mondo, ha sostenuto che le bolle speculative non si possono prevedere e tanto meno curare. Può darsi che abbia ragione, e dello stesso parere è anche il suo successore Ben Bernanke. Forse è un caso, ma le ultime 3 bolle sono scoppiate o, quanto meno maturate, proprio durante il mandato di Greenspan. E non può essere attribuito alla sorte se gli ultimi 20 anni sono stati particolarmente critici per la finanza internazionale: in balia dei derivati, con il culto del debito, anzi della leva finanziaria come lo si definiva per dargli una connotazione virtuosa. Ma un ventennio (ed oltre) in cui la finanza ha predominato su tutte le attività industriali e commerciali, ha potuto affermarsi perché sono mancate le regole e agli alchimisti (ingegneri finanziari nel lessico di Wall Street) sparsi nelle banche d'affari e commerciali s'è lasciato fare di tutto: in nome del profitto, del valore per l'azionista e persino della finanza "democratica", quella dei mutui subprime.
Se Greenspan, nel 1996, invece di limitarsi a denunciare l'esuberanza irrazionale delle borse avesse tre anni dopo ribadito la demenzialità delle quotazioni dei titoli Internet e tecnologici e intrapreso qualche azione per frenare l'eccessiva liquidità dei mercati, forse lo scoppio della bolla sarebbe stato meno fragoroso. Se nel 2005 anziché chiamare «schiuma» l'effervescenza del mercato immobiliare Usa l'avesse definita senza eufemismi, e se invece di lamentare la stranezza di alcune cartolarizzazioni di mutui e la generica pericolosità di certi derivati avesse intrapreso qualche misura per circoscrivere il fenomeno, forse si sarebbe potuto limitare i danni.