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Bossi e Casini ai ferri corti. E intanto nel Pdl la tensione resta altissima

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 agosto 2010 alle ore 16:55.

Nessun matrimonio tra Silvio Berlusconi e i centristi. Anche se il Cavaliere non ha mai smesso di corteggiare l'ex alleato e, davanti allo scontro con i finiani, vorrebbe che Pier Ferdinando Casini e i suoi tornassero alla casa madre a rimpinguare i voti della maggioranza. Ma il numero uno dell'Udc non ci sta e non risparmia qualche stilettata anche al leader della Lega Umberto Bossi, da sempre contrario al rientro dei centristi. «Non so se il simpatico Umberto è stato vittima di un colpo di sole o ha bevuto qualche bicchiere di troppo. In entrambi i casi consiglierei a Bossi di evitare preoccupanti allucinazioni. Non corriamo il rischio di trovarci assieme».

Insomma, per ora nessun apparentamento anche perché il Senatur è stato chiarissimo con il premier. «Berlusconi ha detto che ha un progettino da portare in Parlamento - ha spiegato Bossi dal palco della Berghèm Fest -. Se lo votano bene altrimenti si va alle elezioni. Io penso che bisogna andare alle elezioni comunque. Mi sembra improbabile che si possa andare avanti così». Quanto alle avances di Berlusconi con Casini, il ministro delle Riforme è tranchant. «Ho telefonato a Silvio - ha proseguito Bossi - e gli ho detto che non va bene. Gli ho detto: guarda che con Casini noi non ci stiamo. Nomen omen, Casini uguale a casino».

La linea del Carroccio dunque non cambia e Bossi la ribadirà anche mercoledì a Lesa sul Lago Maggiore. «A Silvio - ha aggiunto ancora il Senatur - ho spiegato che noi siamo bravi ma gli ho detto chiaro che i miei Casini non lo vogliono e che noi sappiamo dire basta. Quindi ho detto a Silvio sappiti regolare, anche perché i voti il Nord li dà alla Lega perché Casini è il male del Nord».

Intanto, però, dentro il Pdl il clima resta tesissimo dopo il diktat filtrato ieri dall'incontro a palazzo Grazioli tra Silvio Berlusconi e alcuni dirigenti del Pdl. Nel corso del quale il premier ha chiarito come sulla mozione che sarà presentata a settembre in Parlamento, e su cui verrà chiesta la fiducia, non ci saranno trattative con i finiani, giustizia inclusa. Visto che il Cavaliere vuole condurre celermente in porto il ddl sul processo breve e il lodo Alfano-bis che doterebbe di uno scudo processuale le più alte cariche dello Stato. Ma Gianfranco Fini e i suoi hanno subito fatto sapere che «la politica non si fa con i "prendere o lasciare"». «È una logica commerciale», è stato il commento del capogruppo di Futuro e libertà alla Camera, Italo Bocchino.

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Oggi, poi, a tenere banco nel partito di maggioranza è anche la notizia dello scontento di tre cofondatori del Pdl: il ministro Gianfranco Rotondi, il governatore della Campania, Stefano Caldoro e il sottosegretario Carlo Giovanardi. Che, in una nota congiunta, hanno espresso il loro rammarico «per essere stati esclusi dalla vita del partito. Massima solidarietà a Berlusconi sulla linea politica - scrivono ancora i tre - ma deve dirci se il partito è una sua preoccupazione e se noi ne siamo parte».

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