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Le regole del partito, le accuse e l'iter previsto per il «processo» ai finiani davanti ai probiviri del Pdl

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 agosto 2010 alle ore 09:42.

Nell'altalena dei rapporti tra Pdl e "transfughi" di Futuro e libertà, alimentata quotidianamente da minacce seguite da tentativi di tregua, c'è un punto fermo: il 16 settembre. È il giorno in cui si riunirà il collegio dei probiviri del Popolo della libertà chiamato a pronunciarsi sul trio finiano Bocchino-Briguglio-Granata deferito dalla direzione nazionale del partito.
Il collegio, composto da nove membri eletti dal consiglio nazionale, era rimasto finora "dormiente": dalla nascita del Pdl non si erano ancora registrati deferimenti su cui doversi pronunciare. Il caso dei finiani ha "attivato" l'organismo che si è così insediato il 6 agosto. Ne fanno parte Vittorio Mathieu (presidente), Giuliano Urbani (vicepresidente), Guido Possa, Maria Teresa Armosino, Francesco Paolo Sisto e Gianluigi Cella (eletto segretario), oltre a Francesco Tofoni e Marsilio Casale (entrambi di designazione An). Il nono membro è dimissionario: si tratta di Sergio Gallo, ex capo di gabinetto del sindaco di Roma Alemanno, che ha deciso di lasciare dopo il rientro in magistratura.

Il regolamento prevede una sospensione dei lavori del collegio durante la chiusura del Parlamento: ecco perché la riunione è stata fissata per il 16 settembre. E non può essere più "sconvocata". «I deferimenti – spiega il vicepresidente Urbani – non sono rinunciabili: noi possiamo solo decidere per l'archiviazione o comminare le sanzioni». I ricorsi pendenti su Bocchino, Briguglio e Granata erano stati proposti dai tre coordinatori e fatti propri dalla direzione nazionale dopo le prese di posizione dei tre esponenti finiani considerate inconciliabili con la linea ufficiale del partito. Ricorrevano perciò le condizioni previste dall'articolo 45 dello statuto per promuovere il procedimento disciplinare: si riteneva che fosse stato compiuto un atto «lesivo dell'integrità morale del Popolo della libertà o degli interessi politici dello stesso». Spetta ora ai probiviri giudicare: ciascun caso è stato assegnato a un relatore che dovrà illustrarlo sulla base di testi, dichiarazioni pubbliche e virgolettati di interviste dell'esponente "incriminato". Il quale «nel rispetto delle regole del contraddittorio e del diritto di difesa» verrà sentito solo alla fine dell'istruttoria che, secondo il regolamento, non può durare più di trenta giorni.

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Al termine di questo periodo il collegio è chiamato a decidere «a maggioranza con l'intervento di almeno cinque membri». L'espulsione potrà scattare se i probiviri ravviseranno nel comportamento dei tre finiani «infrazioni gravi alla disciplina del movimento» (articolo 46). Dopo l'apertura del procedimento, però, la posizione dei finiani si è aggravata, perché non ci sono più solo le dichiarazioni al fulmicotone di Bocchino & co., ma anche azioni: la decisione di costituire gruppi autonomi in Parlamento. Ed è su questa «problematica», si leggeva in un comunicato del Pdl, che i probiviri saranno chiamati a pronunciarsi. A rischio espulsione sono così tutti i 44 parlamentari "finiani" e gli eletti del Pdl "transfughi" nei consigli locali.

«Il collegio dei probiviri è giudice unico non appellabile» e il provvedimento assunto è definitivo. Nessuno spazio per ricorsi? «Un giudice ordinario potrebbe intervenire su controversie sorte all'interno di un partito – spiega Guglielmo Saporito, avvocato esperto di materia elettorale –. Trattandosi però di formazioni sociali che (articolo 49 della Costituzione) concorrono alla determinazione della politica nazionale, sembra opportuno evitare un'intrusione dei pubblici poteri. L'unico obbligo che hanno i probiviri è quello di imparzialità e di garantire il diritto di difesa, mentre la motivazione, purché adeguata, non è sindacabile dall'autorità giudiziaria».

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