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Obama parla alla nazione: «Sull'Iraq è tempo di voltare pagina ma il nostro impegno non è finito»

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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2010 alle ore 22:28.

NEW YORK - Le operazioni militari americane in Iraq sono finite, la responsabilità della sicurezza del paese è ora affidata agli iracheni, per gli Stati Uniti è giunto il tempo di voltare pagina. E guardare ai problemi di casa sul fronte economico e dell'occupazione.
E' questo il senso dell'atteso discorso del presidente americano Barack Obama dallo studio ovale, il secondo rivolto alla nazione in prima serata (dopo quello del 15 giugno sull'incidente di Bp nel Golfo del Messico).

Sulla fine della guerra in Iraq il presidente si è soffermato buona parte dei 18 minuti del suo intervento, senza trionfalismi ma con la gravitas che il tema richiedeva: non ha parlato di «missione compiuta» né ha dichiarato vittoria, ha semplicemente detto che «l'operazione Iraqi freedom è finita». Sottolineando, qui sì con enfasi, il valore dei soldati americani, «uomini e donne in uniforme che hanno servito la causa con coraggio e determinazione: come comandante in capo, sono orgoglioso del loro lavoro. Come tutti gli americani, sono senza parole di fronte al loro sacrificio, ai sacrifici delle loro famiglie», quasi una risposta ai sostenitori dei Tea Party che sabato scorso hanno riempito il National Mall di Washington per «ripristinare l'onore» delle truppe americane.

Obama ha ricordato che in Iraq la situazione è tutt'altro che stabile e ha incoraggiato i leader a trovare in fretta un accordo per la formazione di un governo. «Non vi è alcun dubbio che gli iracheni avranno il forte appoggio degli Stati Uniti: la nostra missione militare è finita, ma il nostro impegno per il futuro dell'Iraq certamente no», ha aggiunto, riferendosi all'azione diplomatica e all'addestramento che i 49.700 militari americani rimasti al fronte riserveranno alle forze locali.

Un passaggio del discorso è stato dedicato ai contrasti con George W. Bush sulla guerra, costata all'America 4.420 soldati morti e 32mila feriti, all'Iraq 100mila vittime civili. «Anche qui, è tempo di voltare pagina», ha detto Obama che nel pomeriggio aveva telefonato al suo predecessore. «E' noto che eravamo in disaccordo sul conflitto, tuttavia nessuno può discutere il sostegno del presidente Bush alle nostre truppe, il suo amore per il paese e l'impegno per la nostra sicurezza», ha concluso, cercando di mettere una definitiva pietra sopra le divisioni.

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Dall'Iraq all'Afghanistan, dove sono morti 22 soldati americani solo negli ultimi cinque giorni: il presidente non poteva non fare cenno a una guerra vicina al decimo anno, il cui obiettivo «è lo smantellamento e la sconfitta di al-Qaeda» impedendo al territorio afghano di fungere nuovamente da base per i terroristi. Ma con molta chiarezza Obama ha ribadito che il prossimo luglio ci sarà il passaggio di responsabilità del paese agli afghani, esattamente come è successo in Iraq.

A questo punto, chiuso il capitolo bellico (non senza una nota di orgoglio per la «capacità di leadership dell'America, che intendiamo sostenere e rafforzare in questo giovane secolo», il presidente ha dedicato la parte finale del suo discorso alla «mia responsabilità centrale da presidente», e cioè «il rilancio dell'economia e dell'occupazione per tutti gli americani che hanno perso il loro posto di lavoro». Questo significa concentrarsi sulla «middle class, dare ai nostri figli l'istruzione che meritano e a chi lavora le competenze necessarie per competere in un'economia globale». Vuol dire, ancora, agevolare le industrie che creano posti e ridurre la dipendenza americana dal petrolio estero

E' evidente che, di qui alle elezioni di midterm del 2 novembre, Obama deve convincere gli elettori sempre più scontenti dell'andamento dell'economia e sempre più scettici nei confronti del governo che un ribaltamento della situazione non solo è possibile ma realizzabile. Secondo l'ultimo sondaggio di Gallup, i repubblicani sono in vantaggio addirittura di 10 punti, 51% a 41, il massimo storico. Il doppio della media delle ultime due settimane. E non è detto che l'effetto "fine-guerra" si prolunghi tanto da farsi sentire nelle urne.

eliana.dicaro@ilsole24ore.com

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