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Finanza e Mercati In primo piano

Già usciti dai derivati quasi 200 enti locali

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Questo articolo è stato pubblicato il 02 settembre 2010 alle ore 08:07.

Sono quasi 200 gli enti locali e territoriali che negli ultimi due anni, da quando è scattato il blocco per legge sui derivati nella finanza locale, hanno chiuso swap e altri contratti su un debito sottostante di oltre 3 miliardi. Sono stati soprattutto i comuni, che dominano per numero di enti questo mercato, ad imboccare la via d'uscita: per contratti giunti a scadenza ma anche con estinzioni anticipate.

Il blocco scattato nel giugno 2008 ha limitato enormemente l'attività in derivati di comuni, province e regioni. Non per timore della crescita di una finanza pubblica parallela fuoribilancio e fuori controllo: i derivati degli enti sono ampiamente regolamentati e recintati con numerosi paletti lievitati negli anni. Ma il Tesoro ha avvertito la necessità di ridisegnare le norme, adattandole a un settore in continua evoluzione, tra i più innovativi del mondo finanziario. Attualmente, in attesa dell'entrata in vigore di un regolamento che accolga anche le indicazioni di Abi e Anci, sono consentite solo le chiusure dei contratti, anche anticipate, oppure le ristrutturazioni in casi limitati: queste ultime solo nel caso in cui la passività sottostante sia stata ristrutturata e che il derivato, per conseguenza, venga riallineato alle condizioni rimodulate del debito.

Le maglie del blocco sono talmente strette che non è consentita neppure la formula del "contro-derivato" o derivato-specchio: un'operazione studiata dal comune di Milano che però non è riuscita a trovare un varco nelle pieghe dell'ultimo divieto in vigore. Non è prevista dalla norma attuale, infatti, la possibilità di stipulare un nuovo contratto per annullare gli effetti di quello derivato. Si chiama derivato "mirror" proprio perchè rispecchia fedelmente il contratto esistente con segni opposti, annullandolo. Al Comune di Milano questa soluzione era stata elaborata per uscire dal maxi-swap sotto processo senza chiuderlo prima della scadenza naturale. Estinguere anticipatamente un derivato che si presenta con un mark to market negativo (un valore teorico che indica l'attualizzazione del flusso dei pagamenti ai tassi vigenti nel momento della chiusura anticipata) significa trasformare un pagamento virtuale in un'uscita di cassa effettiva. A conti fatti, la sola convenienza per questa uscita frettolosa dal mondo dei derivati può essere più politica che economica.

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Gli esperti del settore tuttavia sostengono che anche la chiusura di un derivato con mark to market positivo a favore dell'ente può non essere conveniente: salta la protezione contro un andamento avverso dei tassi, rispetto al debito sottostante e il flusso degli interessi pagato sul debito senza derivato inizialmente è più alto rispetto al flusso con lo swap. In compenso, però, l'assessore al bilancio incassa un'entrata corrente senza vincoli di destinazione: e questa può essere una convenienza.

Il mercato dunque procede con il freno tirato. E stando alle previsioni degli addetti ai lavori, continuerà a farlo anche dopo l'entrata in vigore del nuovo regolamento. L'opportunità politica del derivato, che rischia puntualmente di essere messo sotto accusa dall'opposizione di qualsiasi partito, è oramai pressochè nulla. La convenienza economica della gestione dinamica del debito ricade da ultimo nelle responsabilità dell'ente stesso: il ministero dell'Economia si limita a prendere nota delle comunicazioni preventive, senza entrare nel merito, riservandosi poi di valutarne la regolarità e facendosi carico di segnalare operazioni fuorilegge alla Corte dei Conti. Finora ne ha avute al vaglio 1.200.

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