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Gelo dal Colle sul processo breve ma Berlusconi pensa al piano B

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 settembre 2010 alle ore 08:03.

Il mandato ricevuto dal premier era chiaro: insistere sul «processo breve», con alcune modifiche. Ma insistere. E cercare a tutti i costi di strappare qualche indicazione su aggiustamenti che renderebbero il ddl digeribile, ovvero promulgabile dal Capo dello stato.

Con questo mandato, il ministro della giustizia Angelino Alfano è salito al Quirinale, verso le sei di ieri sera. E ne uscito circa due ore dopo, ma con un magro bottino: Giorgio Napolitano non ha dato indicazioni né ha voluto sapere quali modifiche sarebbero in cantiere, riservandosi di esercitare le sue prerogative costituzionali se e quando il provvedimento dovesse essere approvato; ha escluso di condizionare in alcun modo il dibattito parlamentare, ricordando la «lealtà» con cui, in questi due anni, si è adoperato per cercare di favorire un clima di dialogo, rivendicato a fasi alterne dal governo. E a questo proposito ha ricostruito minuziosamente le travagliate vicende della politica della giustizia, con la ricerca di soluzioni ai problemi giudiziari del premier, che fossero il più possibile indolori per il sistema. Soluzioni come il Lodo Alfano costituzionale e il «legittimo impedimento», che adesso, però, sembrano diventate insufficienti, al punto da riesumare vecchi e controversi progetti di legge, finiti su un binario morto, come appunto «il processo breve».

Alfano è stato ricevuto da Napolitano subito dopo Michele Vietti, neo vicepresidente del Csm. Il Quirinale li aveva convocati da tempo per la consueta ricognizione sia dei lavori del Csm (di cui il capo dello Stato è il presidente) sia delle riforme della giustizia. Un'occasione che, però, Silvio Berlusconi ha tentato di sfruttare – tramite Alfano – per sondare il Capo dello stato sul «processo breve», l'ultimo tentativo prima di passare ad una soluzione alternativa, come la riforma (in versione small) del processo penale per allargare i diritti della difesa o un «legittimo impedimento» riveduto e corretto. Un tentativo fallito. Sebbene il guardasigilli, in serata, abbia detto di essere «soddisfatto», ha dovuto prendere atto che il giudizio negativo di Napolitano – a lui e al premier già noto – non è cambiato. Il che ha rafforzato l'idea di Berlusconi di provare a cambiare cavallo, come aveva annunciato di voler fare nel vertice pomeridiano di palazzo Grazioli.

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È andata come per le intercettazioni: già allora, dopo il sì del senato, Berlusconi tentò con vari emissari di aprire una trattativa con il Colle per blindare il provvedimento e approvarlo, ma le sue richieste furono spedite al mittente. Stavolta Alfano l'ha presa alla larga: ha spiegato che il «processo breve» è «organico» alla riforma della giustizia, un tassello essenziale, ha detto, pur anticipando la disponibilità del governo a correggere il testo approvato dal senato per superare le critiche, in particolare quelle sull'impatto negativo che avrebbe sui processi in corso.

Una dichiarazioni d'intenti, nient'altro. Si parla di modifiche senza conoscerle, il che rende impossibile qualunque valutazione, sia sull'impatto sia sulla ragionevolezza delle nuove norme. La precedente aveva dato risultati contrastanti: per il ministero sarebbe andato al macero solo l'1% dei dibattimenti (circa 4mila) per il Csm tra il 10 e il 40%, per l'Anm ne sarebbero morti «centinaia di migliaia». L'Organo di autogoverno della magistratura aveva parlato di ddl «devastante» e per Vietti quel parere è ancora valido. Potrebbe aggiornarlo (con un nuovo monitoraggio sui processi estinti) solo in caso di ulteriori correzioni. Che al momento, però, sono soltanto «dichiarazioni d'intenti». Troppo poco per Napolitano. E anche per Berlusconi, che dopo il «sondaggio» del Quirinale, è sempre più convinto a derubricare il «processo breve» in "processo inutile" e a cercare altre soluzioni.

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