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Avvenire: «Non si speculi sulla scuola». Stop allo sciopero della fame dei precari

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Questo articolo è stato pubblicato il 03 settembre 2010 alle ore 16:28.

Da giorni erano in sciopero della fame contro i tagli ai precari della scuola e contro le politiche sull'istruzione del ministro Maria Stella Gelmini, ma dopo le parole di ieri del titolare del ministero a viale Trastevere hanno deciso di interrompere la protesta. «Volevamo parlare con la Gelmini ma lei non ha voluto: in fondo sapevamo che non sarebbe successo, abbiamo di deciso di smettere lo sciopero della fame, vogliamo vivere per continuare a lottare», dice Caterina Altamore che da otto giorni non mangiava. Insieme a lei, davanti Montecitorio, in una tenda stazionava un altro precario, Giacomo Russo, che oggi anche lui ha interrotto lo sciopero dopo 17 giorni.

«Noi non chiediamo l'assunzione di tutti i precari in graduatoria - dice Caterina - ma dei posti ci sono e vanno riempiti. Alla Gelmini volevamo spiegare che non ha fatto una riforma, ma solo dei tagli. La scuola pubblica deve essere di qualità: basta con la propaganda, vogliamo una politica seria».

Lo sciopero della fame è stato interrotto ma, spiegano due precari, il presidio davanti la Camera dei deputati rimane, nell'attesa di organizzare nuove iniziative: «Pensiamo a una assemblea nazionale del mondo della scuola che lanci una manifestazione nazionale unitaria tra sindacati, gruppi e ricercatori del mondo della conoscenza».

«Non c'è reato più grave oggi in Italia che trattare male la scuola. Reato, perché fa quasi più effetto, in quest'era giudiziaria, ma si dovrebbe chiamare offesa, ingiustizia, peccato, ignominia». Lo scrive su Avvenire il poeta, drammaturgo e scrittore Davide Rondoni, che firma un editoriale assolutamente bipartisan sulla vertenza di questi giorni.

«Ministro o sindacalista, docente o amministrativo che sia», chi «userà della scuola per terreno di scontri, di difese di rendite di posizione, di consenso politico e altre piccinerie, vorrei - scrive l'intellettuale cattolico - che fosse condannato ad andare davanti al plotone di esecuzione».

Ci vorrebbe, secondo Rondoni, «un plotone immenso, composto dai nostri bambini e ragazzi» che «con le armi della loro infanzia e giovinezza eseguissero la condanna: pistole ad acqua, elastici, schioppi di legno o mitragliette con i suoni elettronici d'ultima generazione, qualche pernacchietta e altri lazzi e battute. Sono sicuro che a far le cose come si deve, il plotone coi cappellini colorati, gli zaini (sempre troppo pesanti), le chewin-gum e tutto il resto starebbe schierato dalla mattina alla sera».

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Il tema dell'editoriale è la centralità della formazione, compito primario della società: «non si guardi - chiede Rondoni sul giornale della Cei - ad altri interessi» che a quelli degli allievi. «Non si sfrutti - continua - il loro nome per richieste e pretese, per quanto comprensibili. Non si faccia carriera sulla loro pelle».

L'articolo ricorda anche i termini della attuale controversia. «Ci sono, come ogni anno - riassume Rondoni - annunci e problemi. La signora Ministro ha affrontato con gagliarda e dunque controversa volontà riformatrice sia l'Università che la Scuola. Una partita personale e politica su cui sta scommettendo molto. E mentre in Università le riforme si sono accavallate e ora se ne aspetta una un pò ordinata e di prospettiva, d'altra parte nella Scuola molti interessi corporativi, molti problemi lasciati per strada, molte iniziative frammentate rendono difficile da sempre un vero disegno riformatore.

La situazione dei precari, l'apertura di nuovi posti e altri irrisolti nodi (come quello del trattamento riservato alle scuole pubbliche non statali) rende anche quest'anno il panorama dell'avvio confuso e non privo di ombre». «Speriamo - conclude - che prevalga in tutte le parti la buona volontà di salvaguardare l'essenziale. Cioè il servizio da rendere a loro, i nostri cerbiatti, o come dice un'antica storia delle foreste, i nostri «bambini giaguaro», figure che intervengono a rinnovare il mondo. Sono loro che dobbiamo tutti servire, senza cedere alla faziosa difesa di interessi particolari, senza vedere nella scuola il luogo del confronto politico partitico, o della difesa di corporativismi che spesso han bloccato e bloccano l'Italia».

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