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Berlusconi e Bossi al Quirinale: «Fini si dimetta». Pressing della Lega per elezioni a novembre

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Questo articolo è stato pubblicato il 07 settembre 2010 alle ore 08:04.

ROMA - Prima gli incontri e le telefonate con i fedelissimi per mettere a punto la strategia, poi in serata il vertice con Umberto Bossi. Al Senatur, che ancora ieri continuava a ripetere che se il Cavaliere avesse dato retta a lui si sarebbe andati subito alle elezioni e così «Fini, Casini e la sinistra scomparivano», Silvio Berlusconi ieri sera è tornato a chiedergli di pazientare come già aveva fatto in occasione dell'ultimo vertice a Lesa. Ma Bossi anche ieri sera è tornato alla carica presentandosi addirittura con un'ipotesi di data: l'ultimo week end di novembre. «Per noi ok le urne il 26 e 27 novembre». E' in corso il vertice del Pdl.

Il premier ha tuttavia ribadito a Bossi che rompere oggi significherebbe assumersi davanti agli elettori la responsabilità di aver fatto saltare la legislatura e, per di più per beghe interne, di partito. Senza contare, è il ragionamento fatto dal premier a Bossi, che comunque a decidere sulla data delle elezioni «non siamo noi, ma il Quirinale». Insomma, a prevalere ora a Palazzo Chigi è la prudenza.

Ha piuttosto un'impennata il pressing su Fini affinché si dimetta da presidente della Camera ora che è diventato un «capopartito». E ieri sera il premier ha convinto anche Bossi: deve lasciare la presidenza. Tant'è che i due hanno deciso di appellarsi al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, al quale chiederanno un incontro: «Nel corso dell'incontro tenutosi questa sera ad Arcore, le dichiarazioni dell'onorevole Fini sono state unanimemente giudicate inaccettabili – si legge nel comunicato stilato da Berlusconi e Bossi al termine del vertice –. Le sue parole sono la chiara dimostrazione che svolge un ruolo di parte ostile alle forze di maggioranza e al governo, del tutto incompatibile con il ruolo super partes di presidente della Camera. Il presidente Berlusconi e il ministro Bossi nei prossimi giorni chiederanno di incontrare il presidente della Repubblica per rappresentargli la grave situazione che pone seri problemi al regolare funzionamento delle istituzioni».

Insomma, nessuna rottura ora, ma il logoramento continua. Questa la linea del Cavaliere: «Se rottura ci dovrà essere questa avverrà in modo plateale e dovrà essere chiaro che la responsabilità non è nostra ma sua», cioè di Fini, è stato il ragionamento portato avanti per tutta giornata. E c'è solo un palcoscenico che può offrire cotanta ribalta: il Parlamento. È lì che Berlusconi tenterà di stanare Fini, sui contenuti. A partire dai cinque punti programmatici, che, come diceva ieri Gaetano Quagliariello, «saranno molto articolati» e illustrati direttamente dal premier. Berlusconi ovviamente è consapevole che i finiani gli ribadiranno la fiducia, soprattutto dopo aver detto pubblicamente il processo breve non farà parte delle cinque direttrici su cui si muoverà l'azione dell'esecutivo. Ma subito dopo arriveranno i provvedimenti per realizzarle. E se si verificherà allora «un incidente», se al governo venisse a mancare la maggioranza allora non ci saranno più scuse per nessuno, si andrà al voto.

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A esplicitare la strategia dell'attesa in Aula del resto era stato Cicchitto. «Dipende da come andranno le cose rispetto al confronto politico parlamentare: se c'è una maggioranza si va avanti, se questa viene meno è evidente che si pone un problema di tipo diverso», aveva detto il capogruppo del Pdl alla Camera uscendo dall'incontro con il premier nel primo pomeriggio. Prima di lui ad Arcore erano arrivati anche Franco Frattini e Maria Stella Gelmini e, ovviamente Denis Verdini e Niccolò Ghedini. Questi ultimi, assieme a Ignazio La Russa hanno poi partecipato al vertice con la Lega dove, oltre a Bossi, erano presenti anche Roberto Maroni e Roberto Calderoli. Il Carroccio continua a insistere sulle elezioni (lo aveva fatto anche Maroni facendo sapere che il Viminale era pronto all'eventualità), ma Bossi non può non tener conto delle difficoltà del premier e dell'intero Pdl. Ecco perché c'è chi sostiene che potrebbe essere proprio la Lega a incaricarsi dell'azione «traumatica», magari sul federalismo, su cui Fini ha già detto di voler trattare e di non essere disposto a dire sì a scatola chiusa.

Ma l'idea di Berlusconi non è quella di passare a un formale allargamento della maggioranza. Questo significa che non ci saranno vertici a tre: Berlusconi, Bossi, Fini. Così come nessuno immagina che si possa tornare indietro. «Noi e Fli rappresentiamo oramai due destre diverse», ha ripetuto anche ieri Quagliariello presentando assieme a Maurizio Gasparri l'apertura della Summer school delle loro fondazioni. Una differenziazione di fronte alla quale prima o poi si troveranno a dover decidere anche gli elettori. Perché se anche stanotte il Cavaliere riuscirà a convincere Bossi ad attendere, le quotazioni per il voto in primavera continuano ad essere molto elevate.

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