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La base spinge alle urne e la Lega torna partito di «gabina» (elettorale) e di governo

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Questo articolo è stato pubblicato il 10 settembre 2010 alle ore 08:02.

«Io, un altro tentativo con i finiani, l'avrei ancora fatto. Mi sarebbe sembrato giusto provare ad andare avanti, per portare a casa il federalismo fiscale. A livello centrale forse non se ne rendono conto, ma qui in periferia ne abbiamo bisogno. E prima possibile. Una ultima chiamata a Fini, sul voto ai decreti attuativi, sarebbe forse stata opportuna».

Ci vuole il pragmatismo da centro Italia del medico di base Giorgio Cancellieri, sindaco di Fermignano, comune in provincia di Pesaro-Urbino, per rompere l'unanimismo degli amministratori locali della Lega Nord, che pure sulla curva più pericolosa imboccata da Umberto Bossi (il voto prima possibile, anche a costo di sfiduciare Berlusconi), danno ragione al loro leader. Sarà che l'anno prossimo Cancellieri dovrà rifare la campagna elettorale («mi hanno eletto nel 2006, sono il primo e per ora unico sindaco della Lega Nord nelle Marche»), ma certo un tentativo estremo di rendere effettivo il federalismo fiscale, anche a costo di provare a recuperare l'uomo che nel 1996 diceva di Bossi «in privato è peggio che in pubblico», gli avrebbe fatto molto comodo: a Fermignano, 8.700 abitanti, va costruita la casa di riposo, c'è da sistemare la piazza, alcune strade sono da asfaltare. «Con i decreti attuativi – continua Cancellieri – potremmo allentare il patto di stabilità, grazie a cui oggi, su un bilancio di 6,5 milioni di euro all'anno, mi ritrovo in cassa, come differenza fra il mio attivo di bilancio e quanto posso effettivamente spendere, mezzo milione di euro».

Se, invece, sali a Nord, nella Padania partorita dalla fantasia politica di Bossi, le fila si stringono e la Lega si conferma come un partito caratterizzato, almeno nelle espressioni pubbliche, da una ubbidienza verso il fondatore quasi gesuitica, totale fino alla fine, perinde ac cadaver.

«Umberto ha ragione e basta», taglia corto Toni Da Re, sindaco di Vittorio Veneto e segretario provinciale a Treviso. «I finiani mica hanno un progetto politico e culturale. Hanno costruito il loro partitello sul rifiuto dell'applicazione del federalismo. A questo punto, la situazione si è chiarita: c'è il partito del Nord, che siamo noi, e c'è quello del Sud, che sono loro». Al voto, al voto. «Nessuno nella Lega, a Roma o sul territorio – continua Da Re – accetterebbe un governo tecnico. Nemmeno se fosse guidato da Giulio Tremonti. Siamo pronti ad andare alle urne, anche se a questo punto probabilmente si andrà a votare in primavera e non a fine novembre come voleva il Capo».

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La festa Atreju

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Tags Correlati: Associazione Nazionale dei Comuni Italiani | Berlusconi Casini | Cuneo | Gianfranco Fini | Giorgio Bergesio | Giulio Tremonti | Italia Centrale | Lega | Lombardia | Luigi Einaudi | Partiti politici | Roberto Calderoli | Treviso | Udc | Umberto Bossi

 

Il gioco del Capo, questa volta, è pesante. E arriva a mettere in discussione il rapporto con Berlusconi (per arrivare alla crisi ci sono due strade: «le dimissioni di Silvio o un voto di sfiducia da parte nostra», ha detto mercoledì). Dunque, sulle prospettive della Lega non si può non stagliare l'ombra del trauma del 1996 quando correndo da sola, nonostante un consenso popolare pari al 10,4% dei voti, con il sistema maggioritario ottenne solo 87 parlamentari, contro i 188 del 1994, diventando molto meno centrale negli equilibri politici del paese. I dirigenti non sembrano preoccupati per le proiezioni del politologo Roberto D'Alimonte che, sul Sole 24 Ore di ieri, hanno evidenziato come, a fronte di un aumento probabile di consensi, la "solitudine" ne depotenzierebbe l'impatto politico.

Il sindaco di Varese Attilio Fontana racconta come, in Piazza del Garibaldino, prima sede della Lega, i militanti siano abbastanza tranquilli: «La prospettiva di Bossi è il paese, non il partito. Qui, senza federalismo fiscale, e Fini non lo vuole, i comuni chiudono. Dunque, meglio fare più in fretta possibile». Fontana, presidente dell'Anci Lombardia, in quel non lontano 1996 era sindaco di Induco Olona, un paesone con 10mila abitanti alle porte di Varese. «Meglio stare da soli che andare con certa gente», dice riferendosi all'Udc. E cita un motto andreottiano: «A pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca. Come si fa, a volere come fa Berlusconi Casini, l'unico a votare contro la legge delega sul federalismo?».

A questo punto ha davvero preso il via la competizione fra berlusconiani e leghisti. A Roma e sul territorio. Dove, a fare da ponte, pure nelle iniziative solo in apparenza minime, c'è al solito Giulio Tremonti, sempre più bossian-berlusconiano e sempre meno berlusconian-bossiano. A Cuneo, per esempio, il 24 settembre quest'ultimo parteciperà alla prima lezione su Luigi Einaudi, una intelligente iniziativa con cui la dirigenza locale leghista, guidata dalla presidente della provincia nonché moglie di Roberto Calderoli Gianna Gancia, sta cercando di annettersi l'economista liberale, governatore della Banca d'Italia e presidente della Repubblica, nativo della vicina Dogliani.

La provincia di Cuneo è stata per cinquant'anni un tempio della stabilità: un feudo bianco che è riuscito a passare dalla fame delle campagne al benessere delle piccole imprese metalmeccaniche e ai piaceri dell'enogastronomia e del turismo. «Certo, per uscire dalla crisi servirebbe più continuità nella politica economica – ammette Giorgio Bergesio, presidente del consiglio provinciale – ma non è che, nella prima repubblica, le fibrillazioni romane abbiano impedito il nostro sviluppo». Quindi Bergesio, in maniera un po' militare, aggiunge: «E, poi, il nostro Capo Umberto Bossi sa cosa è giusto. Noi ci affidiamo a lui in maniera totale. Se dice che bisogna andare al voto, andiamoci soltanto in fretta».

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