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Obama: «Il Corano al rogo sarebbe un regalo ad al Qaeda». E il pastore Jones torna sui suoi passi

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Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2010 alle ore 19:23.

Alla fine si è convinto. E ci ha messo una pietra sopra. Terry Jones, pastore battista del Dove World Outreach Center di Gainesville, in Florida, ha detto di avere rinunciato a bruciare copie del Corano sabato nell'anniversario dell'11 settembre. La sua decisione, ha fatto sapere, è legata alla decisione di spostare un centro culturale islamico, la moschea della discordia, lontano da Ground Zero. E proprio sabato si recherà a New York per discuterne con un imam. I promotori del progetto della moschea hanno comunque smentito l'esistenza di un accordo per allontanare il centro culturale Park51 dal teatro dell'attacco alle Torri Gemelle.

L'Interpol aveva lanciato oggi «un'allerta globale ai suoi 188 paesi membri, su domanda del ministro dell'Interno pachistano, a causa della forte possibilità di attacchi violenti contro degli innocenti, se il progetto di un pastore statunitense di bruciare alcune copie del Corano sarà portato a compimento». L'idea del reverendo aveva scatenato polemiche e dibattiti in tutto il mondo. Anche il dipartimento di Stato americano aveva diramato in giornata un'allerta agli americani a causa di possibili dimostrazioni anti-statunitensi.

Sulla questione, soprattutto, si era espresso, con comprensibile apprensione, Barack Obama. Per al Qaeda, aveva detto il presidente degli Stati Uniti, sarebbe come vincere alla lotteria. Obama ha parlato per la prima volta dell'iniziativa del reverendo Jones. Intervenuto al programma "Good morning America" della Abc, il presidente degli Stati Uniti ha chiesto a Jones di abbandonare il suo progetto, perché per al Qaeda e la sua opera di reclutamento «sarebbe un colpo di fortuna». Obama ha inoltre dichiarato che quello che Jones propone «è completamente contrario ai valori americani. Questo paese è stato costruito sulla libertà e la tolleranza religiosa». Obama ha poi definito l'iniziativa «una trovata pubblicitaria» che avrebbe un effetto «distruttivo» e alimenterebbe il terrorismo, «mettendo in pericolo i nostri ragazzi che indossano l'uniforme».

Segnali di conferma dei rischi di escalation erano arrivati anche dal mondo islamico. A cominciare dall'Iraq. Forte la preoccupazione del premier uscente Nuri al Maliki. Il progetto «potrebbe essere utilizzato dai radicali come pretesto per per aumentare i loro attacchi», aveva detto Maliki in un comunicato dopo una riunione a Baghdad con l'ambasciatore americano James Jeffrey e il comandante delle forze Usa Lloyd Austin. Questa azione «non può essere considerata libertà di espressione e si deve intervenire per evitare che venga realizzata».

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L'Islam nel suo complesso ha chiesto a Obama di fermare Terry Jones. Il Pakistan ha definito «spregevole» il piano del pastore. Dall'Indonesia la richiesta più decisa. Il presidente, Susilo Bambang Yudhoyono, ha scritto una missiva a Obama, che nel paese con il più grande numero di musulmani nel mondo trascorse diversi anni della propria infanzia. Nella lettera, ha spiegato un portavoce della presidenza, Yudhoyono ha sottolineato il rischio che il rogo progettato dal pastore Jones «vanifichi gli sforzi che Indonesia e Stati Uniti stanno facendo per costruire relazioni tra l'Occidente l'Islam». «È profonda - afferma la missiva - la preoccupazione che il rogo inneschi un conflitto tra le religioni».

L'Islam radicale si preparava già a un confronto duro, simile a quello che vide l'Occidente sotto accusa per le vignette blasfeme su Maometto. L'Iran ha accusato Israele di aver orchestrato l'iniziativa. All'insegna dello slogan «Learn, don't burn», un gruppo musulmano ha organizzato la risposta distribuendo centinaia di copie del libro sacro. Migliaia di afghani sono già scesi in piazza in segno di protesta, non lontano dalla base americana di Bagram. Un attivista islamico ha indetto la «Giornata delle bandiere americane bruciate».

Si era mosso anche l'Islam moderato. Il rettore dell'Istituto musulmano della Grande Moschea di Parigi ha invitato a non reagire: «Chiedo ai miei correligionari di non cedere alla provocazione e di rispondere con saggezza, esprimendo compassione», ha dichiarato Dalil Boubakeur. Insomma, una mobilitazione generale.

E il diretto interessato? Il pastore con aspirazioni incendiarie aveva dichiarato, prima dell'annuncio in serata, di non esser stato contattato né dalla Casa Bianca, né dal Pentagono, né dal Dipartimento di Stato. Ma aveva aggiunto che se l'amministrazione di Washington glielo avesse chiesto , avrebbe fatto un passo indietro: «Non sono cose che possono essere ignorate...». E così è stato.

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