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L'avamposto di Shindand, in Afghanistan, punto di contatto e assistenza per i villaggi della zona

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Questo articolo è stato pubblicato il 13 settembre 2010 alle ore 09:33.

Shindand (Afghanistan) - Se non fosse per i sacchetti di sabbia e le torrette delle sentinelle afghane la Safe House 1 si confonderebbe con gli altri edifici del villaggio di Sanogan, uno dei primi centri che si incontrano entrando nella valle di Zerko da nord. Una mezza dozzina di casupole di fango e paglia con il caratteristico tetto a cupola circondate da un muro costituiscono il Combat Outpost (Cop) presidiato da una quindicina di alpini del Terzo reggimento e da poche decine di militari delle forze speciali statunitensi che aprirono la base nel febbraio scorso.

Veterani, molti dei quali reduci dell'Iraq, che si muovono con barbe lunghe e abbigliamento afghano a bordo di "gipponi" Hummer armati di mitragliatrici e lanciagranate. La struttura tradizionale dell'avamposto contrasta con la tecnologia delle dotazioni militari: mortai, armi automatiche, parabole e antenne per le comunicazioni oltre a camere termiche in grado di individuare di notte chiunque si avvicini al perimetro della base. Fino all'anno scorso i Berretti Verdi americani e un piccolo reparto afghano costituivano l'unica forza militare nella valle di Zerko ricca di coltivazioni di oppio, controllata da bande talebane e di narcotrafficanti e, secondo alcuni report, rifugio di miliziani di al-Qaeda.

Negli ultimi mesi, con l'aumento della presenza militare di Isaf (la forza della Nato in Afghanistan) nell'area di Shindand, anche la valle viene regolarmente pattugliata soprattutto dagli alpini della Task force centre e i risultati sembrano incoraggianti, anche nei confronti della popolazione che in alcuni villaggi ha costituito forze di difesa locali con l'aiuto degli statunitensi e con l'avvallo di Kabul che intende inglobarle nella neo costituita Local Police.

«La Safe House 1 è la base di partenza per le operazioni che effettuiamo nella valle ed è diventata un punto di contatto per i villaggi della zona dove abbiamo realizzato anche interventi di assistenza sanitaria e veterinaria», sottolinea il capitano Emanuele De Mitri alla testa della 36esima compagnia. Le coltivazioni di oppio sono quasi scomparse, rimpiazzate dal grano e presto anche dallo zafferano offerto agli agricoltori da un programma del Provincial reconstruction team (Prt), la struttura del contingente italiano che si occupa di sostenere lo sviluppo della provincia di Herat.

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Tags Correlati: Al Qaeda | David Petraeus | District stability operations | Emanuele De Mitri | Emmanuele Aresu | Giulio Lucia | Herat | Isaf | Paolo Ruotolo | Qalam Sarwar | Shindand | Task Force |

 

«Nella valle di Zerko abbiamo riparato scuole danneggiate dagli insorti, costruito cinque ambulatori e iniziato a distribuire bulbi di zafferano, una coltura che garantirà agli agricoltori una redditività più elevata dell'oppio», dichiara il colonnello Emmanuele Aresu, comandante del Prt. La "campagna dello zafferano" prevede la distribuzione di 60 tonnellate di bulbi nella provincia di Herat, per un sesto destinati ai contadini della valle di Zerko. Ogni famiglia incasserà dalla vendita dello zafferano 1.150 euro a raccolto contro i 400 garantiti dall'oppio anche se i bulbi cominceranno a rendere solo dopo due anni dalla semina.

Da quest'anno il Prt di Herat ha iniziato a realizzare opere di sviluppo anche nelle aree più remote e pericolose della provincia al fianco dei reparti da combattimento. I militari le chiamano "District stability operations" che puntano a convincere i capi villaggio che è nel loro interesse, in termini economici e di sicurezza, cessare ogni forma di sostegno agli insorti. Una strategia che risulta efficace nella valle di Zerko e in generale nel settore italiano (anche perché i talebani pretendono tasse fino a 2mila dollari al mese dai villaggi che controllano) ma che per consolidare i risultati richiederà il mantenimento delle condizioni di sicurezza determinate ora dalla presenza degli alpini.

«In molte aree la gente si mostra aperta ma non mancano alcune sacche di diffidenza nelle zone più isolate dove non avevano mai visto i militari di Isaf», precisa il maresciallo Paolo Ruotolo che guida un pugno di specialisti delle "operazioni psicologiche" che operano a stretto contatto con la popolazione. Nella valle come in tutta l'area di Shindand, gli insorti sembrano aver perso la capacità di condurre assalti e imboscate e colpiscono per lo più con ordigni improvvisati (Ied), oltre una cinquantina negli ultimi tre mesi, incluso quello che il 10 settembre è esploso a pochi chilometri dalla Safe House 1 danneggiando un veicolo Lince senza provocare danni ai quattro militari a bordo.

Un attacco non certo isolato: il 29 agosto in un villaggio vicino a Parmakan è stata lanciata una bomba a mano contro una pattuglia degli alpini. L'ordigno, lanciato da dietro un muro un uomo che poi è riuscito a dileguarsi, è esploso tra due veicoli Lince senza provocare danni o feriti. «L'impiego delle Ied è solitamente in aumento in estate, ma la nostra presenza ramificata sul territorio ha emarginato gli insorti grazie soprattutto al mutato orientamento della popolazione e alla crescita delle capacità delle forze di sicurezza afghane» - sottolinea il colonnello Giulio Lucia, comandante della Task force centre.

Molti ordigni sono stati individuati prima che esplodessero grazie alle segnalazioni della popolazione. Un elemento considerato di grande importanza nell'ottica della strategia "population centric" varata dal generale Stanley McChrystal e rilanciata dall'attuale condante alleato, David Petraeus. I capi villaggio della valle sostengono che gli ordigni vengano piazzati sulle strade da miliziani provenienti dalla provincia di Farah. Tesi condivisa anche da fonti militari che sottolineano le operazioni in corso per intercettare gli attentatori, ma che non convince il colonnello Qalam Sarwar, comandante della polizia del distretto di Shindand, per il quale l'incremento degli attacchi dinamitardi è opera di insorti provenienti proprio dalla valle di Zerko.

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