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Il premier cinese Wen Jiabao accolto come una star a New York, soprattutto dai big del business

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Questo articolo è stato pubblicato il 23 settembre 2010 alle ore 21:28.

Wen Jiabao superstar in quel di New York. Un vero Figaro del terzo millennio il premier cinese in questi giorni: tutti lo vogliono e tutti lo cercano, per citare Rossini, a latere dei lavori dell'Assemblea delle Nazioni Unite. Ma se nel "mondo nuovo" di Chimerica (China+America) suona quasi di routine l'incontro con il presidente Usa o i dignitari delle relazioni sino-americane, una vera rarità è invece l'incontro con i big del business a stelle e strisce svoltosi in una sala del Waldorf-Astoria.

Riuniti nell'hotel di Midtown Manhattan da Bill Gates ai capi di Goldman Sachs e JPMorgan Chase; dal capo dell'American Express a Indra K. Noovi, ceo di PepsiCo; dal premio Nobel Joseph Stiglitz all'ex segretario al Tesoro Robert Rubin; moderatore il pioniere dei rapporti America-Cina Henry Kissinger. Insomma il Gotha degli affari, dell'economia e della diplomazia americani cui è stata data la possibilità di un inedito e franco contraddittorio con il potente capo del governo della neo-seconda economia mondiale. "Grandpa Wen", il nonno Wen, amato dai cinesi, ma ancora troppo "misterioso" in terra americana o europea. Così come ancora troppo lontana è la nuova Cina.

Faccia a faccia quanto mai utile quindi nel momento in cui nelle relazioni tra i due paesi è in corso una «guerra di dichiarazioni», che potrebbe presto trasformarsi in una «guerra commerciale», se al Congresso Usa passerà, come sembra, gli inizi della prossima settimana un provvedimento che, messa sul banco degli imputati una valuta cinese ancora troppo sottovalutata e in quanto tale usata come sussidio all'export (nella visione Usa), imporrà dazi nei confronti delle importazioni dalla Cina a tutela dei posti di lavoro americani. E' però difficile che gli incontri di Wen, le sue rassicurazioni ma anche la fermezza nel respingere un apprezzamento più veloce del renminbi a tutela della crescita e della stabilità della Cina (oggi locomotiva di sviluppo per il resto del mondo con una crescita del Pil del 10,5%), possano calmare le acque alla vigilia delle elezioni di Mid-term del prossimo novembre. Non a caso, sul piede di guerra sul fronte valutario in Congresso sono soprattutto i rappresentati del Partito democratico, il più in difficoltà in vista del voto.

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Tags Correlati: Asia | Bill Gates | China Railway Group | Goldman Sachs | Henry Kissinger | Imprese | Indra K. Noovi | Jiabao | JPMorgan Chase | Midtown | Ministero del Tesoro | New York | Onu | Robert Rubin | Wen Software

 

In realtà, il bollente dossier valutario è solo uno dei fronti aperti tra le due sponde del Pacifico. L'America di Obama deve infatti prendere le misure della nuova Cina di Hu Jintao e Wen Jiabao, la potenza definitivamente emersa sul piano economico come politico sull'onda della grande crisi finanziaria cui ha saputo rispondere meglio dell'Occidente, Stati Uniti in testa. Una Cina che cerca di mettersi al riparo dal sensibile declino in cui sembrano avvilupparsi i sistemi di Usa ed Europa, accelerando la sua strategia di porsi alla testa della crescita dei paesi in sviluppo intesi non più solo come mercati per beni di consumo a basso costo, ma come aree di investimenti finanziari e produttivi hi-tech in grado di portare business nei quartier generali dei grandi gruppi cinesi, da Huawei (tlc) alla Geely o alla Lifan (auto), dal China Railway Group (ferrovie e sistemi di controllo). Il tutto con il finanziamento delle banche cinesi e l'uso delle immense riserve valutarie accumulate dall'Impero di mezzo (oltre 2mila miliardi di dollari).

Il caso della ormai annosa collaborazione di Pechino con il Brasile del presidente Lula è emblematico e i numeri parlano: non solo nel 2009 la Cina ha superato gli Usa come primo partner commerciale (+60,3% l'interscambio nei primi 6 mesi 2010), ma quest'anno diventerà anche il primo investitore nel gigante sudamericano con 10 miliardi di dollari previsti contro i 92 milioni del 2009. Sono investimenti in infrastrutture, miniere e impianti produttivi (dalla siderurgia all'auto). Risultato: un impulso alla crescita brasiliana che ormai conosce "ritmi cinesi", appunto (+8,9% nel periodo gennaio-giugno). Sfida aperta dunque nell'ex "giardino di casa" degli Stati Uniti. Lo stesso però nel resto del mondo: dall'Africa all'Asia, all'Oceania. Un numero per tutti. Nella prima parte del 2010 il commercio con i paesi dell'Asean (l'Associazione dei 10 paesi del Sud-Est asiatico) ha registrato una crescita del 54,7%. E anche qui la concorrenza (più o meno leale) delle multinazionali cinesi si fa sempre più agguerrita.

Per l'amministrazione Obama un problema di nuove e meno imperiali strategie nei confronti del mondo in via di sviluppo. Per i big del business Usa, che peraltro hanno contribuito con i loro investimenti (guadagnandoci) a forgiare il volto della nuova Cina, la necessità di individuare nuove strategie per competere non più solo nel gigante asiatico ma anche nel resto del mondo. Sapendo che in ogni caso per le loro auto, gli iPad o gli iPhone, le carte di credito, le polizze assicurative e molto altro i mercati ormai sono nel Sud del mondo. Una partita che non potrà più essere giocata con le regole e l' "arroganza" del passato ma sotto il segno di una nuova collaborazione. Di qui la disponibilità a "scoprire" il politico e l'uomo Wen Jiabao. Ma anche l'inedita disponibilità del Signore di Pechino a farsi incontrare. Le elezioni passano, i commerci restano.


cristaldi.sara@gmail.com

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