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Questo articolo è stato pubblicato il 14 settembre 2010 alle ore 16:26.
Yuan ai massimi sul dollaro dal 1993. La valuta cinese è arrivata a toccare quota 6.7435 sul biglietto verde a Shanghai. Si tratta del livello più alto dal 1993. Il balzo arriva dopo che in tre giorni la valuta cinese ha guadagnato mezzo punto percentuale su quella americana. Il massimo dello yuan sul dollaro è un segnale importante alla vigilia del vertice tra le autorità dei due paesi.
La prossima settimana - ha annunciato Pechino - il primo ministro cinese Wen Jiabao incontrerà Barack Obama, a margine dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. In questi ultimi mesi, Pechino e Washington si sono riavvicinati, in particolare grazie all'incontro di fine giugno tra il presidente cinese Hu Jintao e Obama, a margine del vertice del G8 e del G20 in Canada.
Tanti i temi in discussione che nel recente passato avevano creato frizione tra Cina e Usa: crisi del nucleare iraniano, vendita di armi a Taiwan e questione tibetana e appunto la questione del tasso di cambio dello yuan.
Il balzo dello yuan arriva dopo i buoni dati sulla produzione industriale e sulle vendite al dettaglio di agosto. «L'economia cinese - ha confermato il premier Wen Jiabao - è in buona forma». Ciò che viene interpretato come un buon segnale da parte degli analisti, è il fatto che le autorità non abbiano ostacolato l'apprezzamento della valuta.
«La Cina - dice Lu Ting, economista di Bank of America con base a Hong Kong - non ha alcun interesse che le relazioni con gli Stai Uniti si deteriorino a causa di incomprensioni sulla valuta». Insomma, i dati macro confermano che la ripresa in Cina c'è. Una guerra commerciale, a colpi di dazi, rischierebbe infatti di affossarla.
Anche lo yen giapponese è stato protagonista di un balzo che l'ha portato ai massimi sul dollaro negli ultimi 15 anni. A spingere la valuta giapponese è stata la vittoria del primo ministro Naoto Kan contro il rivale Ichiro Ozawa alle primarie del partito democratico al potere. Il mantenimento dello status quo allontana l'eventualità che il Governo intervenga sul mercato dei cambi, per operare quella svalutazione competitiva tanto richiesta dalle aziende più orientate all'export.
Ozawa infatti veniva considerato un più deciso fautore dell'intervento, oltre che di una politica fiscale meno rigorosa; così Kan ha dovuto alzare i toni e dichiarare che il suo governo sta «facendo varie cose per evitare che Usa ed Europa reagiscano negativamente se il Giappone agirà».
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