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Questo articolo è stato pubblicato il 28 settembre 2010 alle ore 08:03.
C'è spazio per analizzare la recente scissione del gruppo, per commentare i rischi dell'accordo di libero scambio con la Corea del Sud e raccomandare all'Europa prudenza sulla via ancora troppo rischiosa che porta all'auto elettrica. Ma quando il discorso entra nel vivo Sergio Marchionne sa che le attese della platea, riunita per l'assemblea annuale dei produttori Anfia, sono soprattutto sul tema delle relazioni industriali. Lo scorso fine settimana, al convegno di Confindustria a Genova, il leader della Cgil Guglielmo Epifani ha usato accenti nuovi che hanno improvvisamente riportato in auge la parola dialogo.
«Un'apertura positiva – dice l'amministratore delegato del gruppo Fiat –. Ripartire dal confronto, da un impegno che veda coinvolte tutte le parti sociali, è un segnale di grande speranza per il paese». Ora bisognerà capire qual è la vera direzione che vorrà imboccare il sindacato finora più critico sulle vertenze Termini Imerese, Pomigliano, Melfi, Mirafiori. «Non so se sia vero come ha scritto qualcuno – commenta Marchionne – che questa apertura è collegata, in qualche modo, a ciò che la Fiat sta cercando di fare con "Fabbrica Italia"». Può darsi però, aggiunge, «che l'impegno che abbiamo deciso di prendere in Italia, per sanare le inefficienze della nostra rete produttiva, sia servito come stimolo per una convergenza di impegni».
Davanti ai rappresentanti delle aziende italiane dell'automotive e al viceministro per lo Sviluppo economico Adolfo Urso, il numero uno di Fiat rimarca l'importanza di leader responsabili alla guida della ripresa. Ma senza illusioni: la situazione, dice, è estremamente seria e il nostro paese paga «la somma delle non-scelte del passato; la mancanza di condizioni di competitività minime, specialmente nel Mezzogiorno; un livello di investimenti esteri che è il più basso d'Europa; il numero crescente di imprese che chiude o abbandona l'Italia». Tutto questo – aggiunge – ci spinge «a fare qualcosa prima che sia troppo tardi».
Il discorso di Marchionne acquista via via toni più enfatici per spiegare che per l'industria mondiale dell'auto «è arrivata la resa dei conti»; «non ci sarà data una seconda opportunità» e questa che si presenta «è un'occasione straordinaria per rendere il nostro settore più forte e migliore». Una chiamata alla responsabilità per la stessa Fiat, «che opera in Italia da più di un secolo e conosce questo paese meglio di qualunque altra azienda. Un'industria che possiamo usare come strumento per compiere questa svolta storica». Il messaggio viaggia senza troppe deviazioni verso gli interlocutori istituzionali con i quali il dialogo dovrà andare avanti: «Usiamo la Fiat per questo e solo per questo. Non abusiamo di lei per fini politici».