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Questo articolo è stato pubblicato il 28 settembre 2010 alle ore 08:48.
Sakineh non sarà lapidata, ma non eviterà comunque la condanna a morte. La donna iraniana per cui si è mobilitato il mondo intero, sarà impiccata. Il procuratore generale dell'Iran, Gholam Hussein Mohsen Ejei, ha infatti annunciato che la donna 43enne che rischiava la lapidazione perché accusata di adulterio, è stata condannata a morte per un altro reato, la complicità nell'assassinio del marito, e per questo finirà sulla forca.
«In base alla decisione del tribunale, è stata condannata per omicidio», ha detto il religioso, «e la pena per questo delitto ha preminenza sul reato di adulterio». Quanto all'ondata di critiche e proteste internazionali contro l'Iran innescata dal caso di Sakineh, il procuratore generale, ha aggiunto che «la questione non deve essere politicizzata: il potere giudiziario non si può lasciare influenzare dalla campagna di propaganda avviata in Occidente». Da registrare, comunque, anche la presa di posizione del ministero degli Esteri di Teheran, secondo cui «le procedure legali non sono concluse, un verdetto sarà deciso quando saranno terminate». Intanto il figlio di Sakineh, Sajjad Ghadarzadeh, attraverso l'agenzia Ansa chiede «alle autorità italiane di intervenire per aiutarci».