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Negoziati segreti in Afghanistan: Karzai tratta la pace con i talebani

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 ottobre 2010 alle ore 10:16.

I colloqui segreti di pace avviati ad alto livello dal presidente Hamid Karzai e dai talebani rivelati dal Washington Post costituiscono l'ennesima conferma che in Afghanistan si cercano soluzioni non solo militari al conflitto. Certo si tratta ancora di una fase preliminare che rappresenta il seguito dei primi incontri tenutisi l'anno scorso in Arabia Saudita ma se le indiscrezioni verranno confermate la trattativa dovrebbe portare alla costituzione di un governo di unità nazionale che includa i talebani in cambio di un calendario che assicuri il ritiro delle truppe straniere.

Benché ufficialmente abbia sempre respinto l'ipotesi di negoziati finché saranno presenti soldati infedeli sul territorio afghano, la "Shura di Quetta" del mullah Omar avrebbe per la prima volta autorizzato suoi rappresentanti a dialogare con Kabul. I motivi di questa disponibilità dipendono dalle ingenti perdite subite nelle province di Helmand e Kandahsar sotto l'incalzare delle offensive anglo-americane ma anche, come hanno confermato fonti afghane e arabe al Washington Post, dalla consapevolezza che la "shura di Qetta" non è più l'unico rappresentante della galassia di movimenti talebani e jihadisti afghani e rischia di essere scavalcato da elementi più oltranzisti come quelli che fanno capo al "network Haqqani" che nel Waziristan pakistano può contare su un ampio reclutamento e ha già assorbito molti miliziani della "legione straniera islamica" che militava sotto le bandiere di al-Qaeda. Il clan Haqqani infatti non partecipa ai negoziati e i suoi leader e miliziani stanno subendo una crescente pressione militare con incursioni di aerei, elicotteri e droni sulle basi nella Tribal Area che hanno determinato le vivaci reazioni del Pakistan.

La scorsa settimana il comandante delle forze alleate, il generale David Petraeus, aveva anticipato che erano in corso contatti tra il governo afghano ed esponenti di alto rango del movimento talebano. Gli Stati Uniti e la Nato sembrano appoggiare ogni forma di negoziato che possa consentire o velocizzare l'exit strategy dei contingenti alleati dal Paese. Un aspetto chiamato in causa dal presidente Hamid Karzai, pubblicamente sempre più critico nei confronti dei suoi "protettori occidentali", che sabato scorso in una cerimonia militare ha esortato gli afghani a prepararsi a fare da soli perché "quando gli stranieri avranno raggiunto i loro obiettivi, sicuramente se ne andranno. Ogni paese e ogni persona venuta da fuori cerca solo di proteggere i suoi interessi". Non è la prima volta che Karzai cerca di smarcarsi dalla "tutela" occidentale e dall'immagine di "fantoccio di Washington" attribuitagli dai talebani, indizi forse di un tentativo di accreditarsi come leader più idoneo a guidare anche un futuro governo allargato ai talebani spendendo anche il "merito" di aver già ratificato con la Nato un calendario per il ritiro del grosso delle truppe straniere entro il 2015. Al di là degli esiti delle trattative non mancano dubbi e incertezze sui contenuti dell'eventuale accordo di pace. Un'intesa tra Karzai e il mullah Omar costituirebbe davvero una soluzione positiva e accettabile del conflitto? Combattere nove anni contro i talebani per far tornare il mullah Omar nel governo costituirebbe un tradimento nei confronti di quella vasta parte della società afghana che sperava di uscire dal Medio Evo e non eliminerebbe il rischio che il Paese asiatico torni a essere la culla del terrorismo islamico. Un'intesa con una "Shura di Qetta" sempre più debole rischierebbe inoltre di non fermare il conflitto lasciando al "network Haqqani" la guida esclusiva del jihad inglobando anche i gruppi più oltranzisti oggi fedeli al mullah Omar. Un accordo che consenta il ritiro delle truppe alleate ma privo di solide garanzie politico-strategico rappresenterebbe poi un boomerang per la Casa Bianca, specie dopo che la scarsa attenzione riservata al "Dossier Iraq" dall'Amministrazione Obama sta determinando la nascita di un governo filo iraniano a Baghdad.

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