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Fini: nessun voto a marzo, se cade il governo c'è la Costituzione

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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2010 alle ore 17:52.

Nessun passo indietro dallo scranno più alto di Montecitorio «perché il presidente della Camera non è né può essere il capo di un partito». E no a elezioni anticipate a marzo perché «dopo quel che ha detto Berlusconi penso che abbia il dovere di dimostrare di voler governare». Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, intervistato da Annozero, vuole continuare «a fare politica» e spazza via il fantasma del voto agitato dalla Lega. «Berlusconi - spiega l'ex leader di An davanti alle telecamere del programma di Michele Santoro - sostiene di avere la chiave per interpretare Bossi, vediamo se quella chiave apre la porta affinché la legislatura vada avanti».

L'ex leader di An aggiunge poi un altro tassello. Sposando la linea del Colle in caso di crisi di governo. «Tutti coloro che conoscono la Costituzione hanno la risposta - prosegue Fini -. Tutti sanno che la strada è obbligata, e l'ha detto anche Berlusconi ieri in modo abbastanza candido: verificare se in Parlamento c'è un'altra maggioranza». Insomma, la legislatura deve andare avanti, ragiona Fini, e se ciò non dovesse verificarsi bisognerebbe seguire il dettato costituzionale per costruire le tappe successive. Un messaggio chiaro per il Cavaliere e per il Carroccio. Cui l'ex leader di An invia anche un'altra indicazione: «Oggi - prosegue Fini - la maggioranza non è più fatta di Pdl e Lega. Oggi la terza gamba si è di fatto costituita». Quindi il metodo dovrà essere quello inaugurato ieri nel vertice di maggioranza che ha confermato le presidenze delle commissioni parlamentari. «D'ora in poi bisognerà concordare le proposte».

Poi il presidente della Camera tocca tutti i temi sensibili sul tappeto. A cominciare dalla giustizia e dal lodo Alfano. Così prima ribadisce il via libera al lodo Alfano («non lede la Costituzione e le toghe») e poi liquida la sortita del Cavaliere sull'ipotesi di una commissione d'inchiesta sulle toghe. «Credo - aggiunge Fini - sia stata una proposta comprensibile in un comizio, ma rapidamente archiviata. Sarebbe un vero guazzabuglio». Quanto all'accelerazione su un possibile riassetto della legge elettorale, su cui si registra il dialogo tra Pd, Udc e finiani, il presidente della Camera sottolinea che «cambiarla non significa minare la maggioranza», rispedendo così al mittente le insinuazioni di chi intravede un ribaltone dietro l'asse tra Pd, centristi e finiani, sul riassetto del "porcellum".

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Quindi un accenno all'affaire Montecarlo per ribadire quanto aveva detto nel videomessaggio diffuso nelle scorse settimane. «Il tempo è sempre galantuomo - avverte Fini - e io non strillo quando qualcuno indaga a differenza di altri». Una sottile stoccata al Cavaliere prima di ricordare che «sono da 30 anni in Parlamento, non sono mai stato sfiorato dal più piccolo sospetto, qualcuno ha auspicato per me il metodo Boffo e mi hanno radiografato. Se dopo tutto questo e dopo quanto è stato speso, siamo ancora alla vicenda della casa di Montecarlo... Ma quante travi negli occhi degli altri».

Infine l'ex leader di An lancia una ricetta per risanare la Rai: privatizzare l'azienda «allontanando i partiti». Anzi il leader di Futuro e Libertà si spinge anche oltre arrivando a non escludere che la sua pattuglia parlamentare possa farsi promotrice di iniziative per privatizzare la televisione pubblica. L'uscita del presidente della Camera non passa comunque inosservata. Il più rapido a rispondergli è Francesco Storace, segretario nazionale della Destra ed ex compagno di partito di Fini in Alleanza Nazionale. «Fuori i partiti dalla Rai detto da Fini - attacca l'ex governatore del Lazio - è fantastico. Ci auguriamo che comincino a starne fuori anche i cognati». Ma le dichiarazioni di Fini giungono anche alle orecchie del leader della Lega, Umberto Bossi che liquida subito la vicenda. «A me - replica il Senatur ai cronisti che lo punzecchiano sul tema - interessa solo del federalismo». Una risposta che arriva nello stesso giorno in cui il Cdm vara il decreto unico che accelera l'attuazione della riforma cara al Carroccio. (Ce. Do.)

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