Federalismo fiscale: una riforma destinata a cambiare l'Italia

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Decreto unico sul federalismo approvato dal governo. Tremonti: ora la delega sul fisco

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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2010 alle ore 12:02.

Il federalismo fiscale «è un meccanismo che unisce e non divide, che raddrizza l'albero storto della finanza pubblica». A dirlo il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, nel corso di una conferenza stampa al ministero dell'Economia, dopo il via libera del Consiglio dei ministri di questa mattina a un decreto unico, che racchiude gli ultimi tre decreti legislativi di attuazione del federalismo fiscale. «L'Italia è l'unico Paese europeo - ha spiegato Tremonti - che non ha finanza locale. Da noi è tutto centrale a parte qualche tributo locale. Con il federalismo fiscale si raddrizza l'albero storto e crediamo sia un meccanismo di riforma costituzionale». Il ministro dell'Economia ha, poi, illustrato le novità contenute nei ventisette punti del decreto, che sono dedicati alle regole sulla fiscalità delle regioni e delle province e ai costi e fabbisogni standard della sanità, fino al fondo perequativo.

Secondo il ministro il federalismo non aumenterà la pressione fiscale. Nel federalismo c'é il principio «dell'invarianza fiscale. Il nostro obiettivo è non aumentare la pressione fiscale generale». Il provvedimento prevede la possibilità di aumentare l'addizionale Irpef regionale del 3% senza però prevedere altre norme di sgravio fiscale a livello di stato centrale. Poco dopo, però, il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli ha precisato che l«a pressione fiscale complessiva rimarrà invariata, ma sulle fasce di reddito medio-alte potrebbe scaricarsi un lieve incremento dell'Irpef». Ma ci sono governatori, come il lucano Vito De Filippo (Pd) che criticano l'accelerazione impressa dal governo e puntano il dito contro la mancata previsione dell'impatto della manovra di luglio sull'avvio della riforma cara alla Lega. E governatori, come quello del Veneto, Luca Zaia, che parlano di «una pagina storica» per il Paese.

Tremonti ha sottolineato che il federalismo «introduce meccanismi di controllo della spesa pubblica e, fermi restando i servizi, ci sono ampi margini di risparmio. Soltanto per il trasporto su gomma si spendono l'anno 5,5 miliardi. Pensiamo - ha concluso Tremonti - che il vincolo di invarianza fiscale e i meccanismi di controllo della spesa possano aprire spazi per ridurre la pressione fiscale». L'impressione «è che stiamo cominciando - ha osservato il ministro - in realtà il processo è quasi terminato». il ministro ha spiegato come oggi si sia chiusa la fase fondamentale della definizione dei sette decreti di attuazione del federalismo fiscale.

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Per le regioni scomparirà la compartecipazione Irpef che sarà soltanto addizionale. Arriverà in due fasi, la prima dal 2012 per assicurare alle regioni entrate corrispondenti ai trasferimenti statali soppressi dal provvedimento, la seconda dal 2014, quando l'addizionale potrà essere aumentata gradualmente fino a un massimo del 3 per cento. Le regioni potranno, infatti, aumentare l'Irpef dell'1,4% nel 2013, dell'1,8% nel 2014 e del 3% nel 2015, evitando, però, di toccare i primi due scaglioni di reddito. Le regioni non potranno diminuire l'Irap in caso di aumento dell'addizionale Irpef. Le regioni potranno anche scegliere di modulare gli aumenti, a seconda degli scaglioni di reddito, salvaguardando però i primi due scaglioni. La possibilità di aumentare l'Irpef è prevista solo di fronte a una riduzione dell'Irap.

Diminuirà, poi, nei prossimi anni la compartecipazione Iva, ma la quota di Iva destinata alle regioni non sarà più pari al 25% fisso, ma sarà calcolata con le regole attuali fino al 2013 in relazione a quanto devoluto alle regioni e in funzione delle risorse Ue. Dal 2014, invece, il nuovo meccanismo prevede che la percentuale di compartecipazione Iva sarà stabilita dal governo, sentite le regioni, in modo da garantire in ogni ente territoriale il finanziamento delle spese essenziali (sanità, assistenza, istruzione, trasporto pubblico locale). Dal 2016 è previsto anche un fondo perequativo per comuni e province, la cui gestione sarà affidata alle regioni, che terranno conto nella ripartizione, fra le altre, del fabbisogno finanziario e dell'indicatore di «fabbisogno di infrastrutture».

I costi standard per le spese della sanità, da quelle delle asl agli ospedali, partiranno dal 2013, mentre la qualità dei servizi partirà dal 2011. Ci saranno tre regioni-modello con i conti in ordine a fare da apripista, scelte dalla Conferenza Stato-regioni fra le cinque migliori che emergeranno esaminando i risultati del 2011,. L'obiettivo è quello di garantire, al Sud come al Nord, servizi pubblici e costi uguali, eliminando gli enormi sprechi che attualmente si registrano soprattutto nella spesa sanitaria.

Il via libera al decreto giunto oggi in prima lettura dal Consiglio dei ministri sarà seguito dall'esame della Conferenza unificata e delle Camere prima del via libera definitivo, che dovrebbe arrivare, secondo quanto ha detto il premier Silvio Berlusconi, entro dicembre o «al massimo entro marzo del prossimo anno».

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