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Questo articolo è stato pubblicato il 11 ottobre 2010 alle ore 15:03.
Cambiare la foto del proprio profilo sui social network con quella di Liu Xiaobo. Così la rete si è mobilitata per sensibilizzare gli utenti di tutto il mondo alla sorte del premio Nobel per la pace. Un'iniziativa simile era già stata messa in pratica da un gruppo di attivisti per i diritti civili fece alla fine del 2009, ma senza troppo successo. Intanto oggi in Cina le autorità hanno opposto un secco no alla visita dei diplomatici Ue alla moglie del Nobel per la Pace.
L'assegnazione del premio Nobel ha dato alla vicenda del dissidente cinese una notorietà internazionale. La reazione delle autorità cinesi è stata la censura. Tuttora nei media della Repubblica popolare la notizia non è ancora comparsa. Anche per abbattere questo muro di silenzio che gli utenti Facebook hanno cominciato a cambiare la propria foto con un'immagine di Liu Xiaobo.
Tra chi ha scelto di aderire a questa iniziativa c'è Giuliano Pisapia, candidato alle primarie del Partito democratico per le elezioni comunali di Milano, e il giornalista Franco Bomprezzi, noto per la sua attività di sensibilizzazione sui problemi delle persone disabili. Ecco cosa scrive ques'ultimo sul blog che tiene sul sito del settimanale Vita no profit.
«So che la Cina viene vista dall'Occidente e dall'Italia in particolare come il Paese di Bengodi, per i nostri investimenti, per le esportazioni. Ce ne freghiamo della libertà. Proprio il giorno prima del Nobel abbiamo celebrato questo idillio, con tanto di incontri ufficiali e di esaltazione di un'amicizia interessata. Dopo l'annuncio da Stoccolma, Obama ha alzato la voce, ha gridato: "Liberatelo". Qui niente, silenzio e dintorni».
«Non so - continua il giornalista - penso che forse Liu Xiaobo ci può aiutare a riprendere in mano il nostro destino di cittadini liberi. Mi piacerebbe un corteo di studenti per lui, e non contro la Gelmini. Mi piacerebbe un appello forte del nostro governo per la liberazione immediata di quest'uomo che non ha torto un capello a nessuno, e che deve scontare undici anni di carcere per reati di opinione. Mi piacerebbe un bel dossier sui giornali italiani tutto sulla libertà in Cina e nel mondo, sugli affari sporchi, sull'ambiente degradato, sul potere dei soldi. Mi piacerebbe tornare a sentir battere il cuore per una giusta causa, finalmente, come quando ci infiammavamo, con idee diverse ma con un sentire comune, per la primavera di Praga e per il Vietnam. Forse ce la possiamo ancora fare. Io, intanto, ci ho messo la faccia. Grazie Liu Xiaobo. Vinceremo».