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Questo articolo è stato pubblicato il 12 ottobre 2010 alle ore 08:40.
Scende lentamente lungo lo sterrato che costeggia el campamento esperanza, tutti la attendono in un silenzio quasi surreale. Dai microfoni dei comunicatori l'anelata conferma: «Tra poco la potrete vedere da vicino». I tecnici, i carabinieri, i familiari dei minatori, i giornalisti, i fotografi, si fanno da parte. Non è Miss Cile, che pure era attesa quassù. Di più, molto di più. Venerata come una dea, adorata come una santa; sembra irradiare, guardando i volti degli astanti, una luce divina. Eccola. È la T-130, una macchina perforatrice. Ora che è vicina, tutti urlano, la acclamano. Applausi e foto. Un'apoteosi di feticismo tecnologico.
Non è una macchina qualsiasi, è quella che ha raggiunto i 630 metri di profondità, gli inferi che tengono prigionieri 33 minatori dallo scorso 5 agosto. «Non avrei mai immaginato tanta gloria per una macchina», dice Alejandro Pino, uno degli addetti alla comunicazione. La T-130 ha terminato il suo lavoro tre giorni fa; ora rientra a Santiago. Al suo fianco cammina uno degli eroi di quest'impresa: il manovratore Jeff Hart, 40 anni, americano. Un gigante di un metro e novanta, capelli rossicci e baffi. Le guance e il naso bruciati dal sole del deserto di Atacama.
«Lo ammetto, del Cile non sapevo nulla, avevo solo una vaga idea di dove fosse - spiega Jeff, uno dei protagonisti della perforazione - quando mi chiamarono quelli di Geotec (la società mineraria che possiede la macchina, ndr) per propormi questa missione. Ero in Afghanistan e stavo facendo tutt'altro, estrarre acqua per i soldati americani, ma ho accettato subito». Hart viene da Denver, lì lo aspettano la moglie e due figli, Morgan e Dylan. «Ho fatto la cosa più importante della mia vita, di certo dei 24 anni di carriera in questo settore; è stato faticoso e stressante, la perforazione ha presentato momenti di grande tensione. Non avevo mai lavorato sapendo di dover estrarre vite umane. Ma ce l'abbiamo fatta e sono felice». Poi una risata che sembra scuotere tutti i muscoli dei suoi 90 chili e alla fine una promessa: «Non vedo l'ora di raccontare tutto a miei figli».
Non è l'unico eroe, ce ne sono tanti altri. Ma sono più ritrosi, il loro compito non è terminato, quello di Jeff sì. C'è Jean Romagnoli, un medico di origine italiana, 39 anni, quattro figli, che dovrà monitorare le condizioni di salute dei minatori durante la risalita nella capsula Fenix che li riporterà in superficie. Ciascuno indosserà una cintura biometrica che trasmette dati a Romagnoli. Sempre lui, in equipe con altri, ha definito la dieta più opportuna per i mineros che vivono in condizioni estreme dal 5 agosto.