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Questo articolo è stato pubblicato il 15 ottobre 2010 alle ore 08:21.
Mai più sentenze di incostituzionalità a maggioranza semplice. Per bocciare una legge, la Corte costituzionale avrà bisogno di una maggioranza qualificata: non più la metà più uno dei voti, ma i 2/3 o i 3/5, quindi 10 o 9 voti su 15. Nel primo caso, tanto per capirci, il lodo Alfano sarebbe ancora in vita, visto che l'anno scorso la Corte lo bocciò proprio con 9 voti.
Ora il ministro della giustizia Angelino Alfano vuole cambiare e ha inserito questa novità della maggioranza qualificata nella bozza di riforma costituzionale della giustizia, illustrata mercoledì scorso da Niccolò Ghedini, plenipotenziario del premier, prima alla finiana Giulia Bongiorno e poi alla consulta Pdl giustizia. Ieri Alfano ha chiesto udienza al presidente della repubblica per annunciargli la presentazione, in uno dei prossimi consigli dei ministri, del ddl di riforma.
Che punta a separare le carriere di giudici e pm ma, soprattutto, a cambiare i connotati al Csm, sdoppiandolo (uno per i giudici, l'altro per i pm), limitando la presenza dei togati in favore dei laici, riducendone fortemente le prerogative, prevedendo un posto fisso del ministro alle sedute plenarie e infine scorporando la giustizia disciplinare. «Ci muoviamo nel solco del programma illustrato da Berlusconi in parlamento e approvato con il voto di fiducia, per riequilibrare i rapporti tra politica e magistratura», ha spiegato Alfano. Di qui l'intervento massiccio sul Csm. Ma anche la novità sulla Consulta, che ne limita fortemente il raggio di azione sulle leggi. E quindi, come per il Csm, ne riduce il peso "politico".
«È un'ipotesi», minimizza Ghedini, riferendosi al quorum per le sentenze di incostituzionalità. «Non sappiamo ancora bene se è una cosa intelligente o no», aggiunge. Il Pdl deve capire che cosa ne pensano Lega e finiani, ma anche tra i "falchi" c'è perplessità. «Significherebbe – osserva Luigi Vitali – che nessuna legge particolarmente sensibile viene più dichiarata incostituzionale. Certo – ammette – farebbe comodo a Berlusconi, ma non ad altri. Perciò credo che non se ne farà niente».
Sugli altri capitoli della riforma c'è, invece, molta più determinazione, in particolare sul Csm che si sdoppierà e sarà affiancato da una o due corti disciplinari composte da membri eletti all'interno di ciascuno (che in tal caso non parteciperebbero alle altre attività) o da laici esterni. Ciascun Csm dovrebbe essere formato per 2/3 da laici (nominati dal capo dello stato ed eletti dal parlamento) e solo per 1/3 da togati, eletti da giudici e pm. È ancora incerto se a presiederlo sarà il capo dello Stato o un laico da lui scelto oppure, per il Csm dei pm, il procuratore generale della Cassazione. Il ministro della giustizia potrà partecipare alle riunioni di entrambi, senza diritto di voto, ma con potere di proposta. Le prerogative dei due Csm saranno «regolamentate», escludendo che possano adottare «atti di indirizzo politico», ovvero, sia i pareri sia le «pratiche a tutela dei magistrati», come quella appena aperta per le accuse del premier ai magistrati di Milano.