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I bombardamenti ora sono anche digitali. Le nuove frontiere della cyberwar e le difese dei governi

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 ottobre 2010 alle ore 13:00.

L'ultimo caso eclatante riguarda il virus Stuxnet, creato forse dagli esperti israeliani, che due settimane or sono ha paralizzato le reti informatiche governative iraniane e soprattutto i sistemi informatici della centrale atomica di Busher, ma negli ultimi anni gli esempi di cyber war sono tanti: dai misteriosi virus di origine russa che hanno colpito le reti delle Repubbliche Baltiche o paralizzato i sistemi informatici istituzionali georgiani, ai tentativi cinesi di violare i segreti del cacciabombardiere F-35 penetrando le difese della rete di Lockheed Martin, di scardinare le difese elettroniche di Taiwan e di bloccare Google.

Sul piano strettamente militare gli statunitensi utilizzarono bombardamenti elettronici nel 1999 e 2003 per paralizzare le comunicazioni in Serbia e Iraq mentre nel 2007 gli israeliani mandarono in tilt il sistema di difesa aereo siriano per condurre un raid contro il sito di ricerche nucleari di Deir-az-Zur, situato vicino alla frontiera turca.

Sul piano tecnico le minacce cibernetiche sono divise in cyber-guerra , cyber-terrorismo, il cyber-spionaggio e la cyber-criminalità ma in realtà spesso i campi si sovrappongono rendendo più difficile la difesa preventiva e l'identificazione degli aggressori. Anche per questo è in crescita costante l'attenzione mostrata dai governi e dagli organismi internazionali nei confronti di questa minaccia forse perché è oggi l'unica in grado di paralizzare completamente le società avanzate a causa della vulnerabilità o quanto meno della criticità delle reti infrastrutturali civili.

«Tutti i settori più nevralgici del funzionamento di una nazione devono essere protetti» ha dichiarato in una recente intervista l'ammiraglio Luciano Zappata per tre anni vice comandante del Transformation Command della Nato a Norfolk (Virginia). «Penso soprattutto a quelli civili perché le strutture militari sono già dotate di sistemi che ne garantiscono una maggiore sicurezza. In Europa siamo in ritardo rispetto agli Stati Uniti ma stiamo recuperando in fretta».

Al summit di Lisbona, il 19 e 20 novembre, la Nato inserirà le cosiddette "minacce ibride" nella propria dottrina strategica dopo che alcuni Paesi membri hanno costituito nel 2008 a Tallin, in Estonia, il "Cooperative Cyber Defence Centre of Excellence" che raccoglie una trentina di esperti incaricati di studiare le minacce contro reti militari e civili (idriche, sanitarie, elettriche, di comunicazione.) e pianificare risposte e controffensive informatiche. Nel documento che verrà presentato a Lisbona, rivelato dal quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung, il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, sottolinea il rischio di attacchi alle infrastrutture o alle reti di approvvigionamento energetico, ma anche ai sistemi informatici dei Paesi membri.

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Tags Correlati: Anders Fogh Rasmussen | Cooperative Cyber Defence Centre of Excellence | David Cameron | Deir-az-Zur | Forze Armate | Google | Iain Lobban | International Institute for Strategic Studies | Internet | Italia | Luciano Zappata | Martin Lockheed | Nato | Stati Membri | Stati Uniti d'America

 

Una minaccia contro la quale si cerca di correre ai ripari. Il Pentagono ha riunito le competenze dei centri specializzati delle diverse forze armate in una struttura interforze, il Cyber Command costituito nel giugno 2009 e operativo da un anno. Posto alle dirette dipendenze dello Strategic Command, ha il compito di proteggere gli oltre 15mila computer che fanno capo alla rete del Pentagono in 4.000 basi e installazioni sparsi per una novantina di Paesi. A Londra il governo di David Cameron taglia fondi alle forze militari ma aumenta gli stanziamenti per tecnologie cyber difensive e offensive sostituendo simbolicamente i bombardieri della Royal Air Force con virus e contromisure elettroniche in grado di neutralizzare le infrastrutture nemiche. In un mondo nel quale la gestione di ogni tipo di infrastruttura è affidata a reti informatiche interconnesse tra loro le armi cyber sono le uniche potenzialmente in grado di riportare all'età della pietra un Paese avanzato, con l'esclusione ovviamente delle armi nucleari.

Un allarme lanciato il 12 ottobre a Londra da Iain Lobban, alla testa del Government Communications Headquarters (Gchq) in una conferenza all'International Institute for Strategic Studies durante la quale ha ricordato che «cyber-attacchi su scala limitata vengono registrati tutti i giorni» riferendo di circa mille attacchi al mese alle reti informatiche britanniche. Ormai tutti i Paesi avanzati stanno mettendo a punto strutture di comando e controllo congiunte civili-militari per far fronte a queste minacce. L'Italia sembra volersi dotare di una o due strutture (una civile e una militare) strettamente connesse con i servizi d'intelligence per la difesa contro gli attacchi informatici.

Un mese or sono anche l'Italia è stata coinvolta, con altri dieci Paesi, nell'esercitazione statunitense «Cyber Storm 3» messa a punto dalla Homeland Security di Washington per simulare un potente attacco informatico e valutare il grado di risposta e di cooperazione tra le diverse agenzie e ministeri statunitensi, gli alleati e le aziende private. Le cyber war rappresentano poi un nuovo business sul quale si stanno buttando i giganti dell'industria della Difesa che potrebbero parzialmente colmare con gli introiti da questo settore il calo delle commesse di mezzi convenzionali per le forze armate.

Il valore del mercato della cyber sicurezza viene valutato in ambito Nato tra gli 80 e i 140 miliardi di euro nei prossimi anni. Per questo tutte le grandi companies della Difesa propongono prodotti di protezione delle reti infrastrutturali con capacità attive, cioè in grado di "contrattaccare" e non solo di "parare i colpi".Tra queste Boeing, Lockheed Martin, Bae Systems, EADS e anche l'italiana Elettronica .

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