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Questo articolo è stato pubblicato il 21 ottobre 2010 alle ore 17:47.
Il sì dei finiani alla retroattività del lodo Alfano-bis continua a tenere banco dentro la maggioranza al lavoro sul progetto di riforma della giustizia. Costringendo gli uomini del presidente della Camera a nuove precisazioni per mettere a tacere gli attacchi, provenienti soprattutto dai siti di Generazione Italia e Farefuturo, di quanti contestano il presunto voltafaccia di Fli sullo scudo processuale per le alte cariche. Intanto la Commissione Affari costituzionali del Senato ha bocciato compatta (anche con l'apporto del finiano Maurizio Saia) alcuni emendamenti dell'opposizione al lodo Alfano per la non reiterabilità della sospensione dei processi per il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio. Bocciati anche altri emendamenti dell'opposizione che chiedevano una maggioranza qualificata di una Camera (di due terzi, di tre quinti o assoluta) per ottenere la sospensione dei processi.
A scendere in campo oggi per difendere le scelte dei fedelissimi del presidente della Camera è stato il viceministro Adolfo Urso. «Abbiamo sempre detto che siamo d'accordo sul lodo Alfano costituzionale, che tutela non Silvio Berlusconi ma chiunque ricopra il mandato - presidente del Consiglio o presidente della Repubblica - dall'incombenza dei processi come in Francia, solo sospendendoli durante l'arco del mandato. Lodo retroattivo? Certo, non può essere altrimenti». Anche la direttrice del Secolo d'Italia, Flavia Perina, sottolinea che «lo scudo alle alte cariche è il solo modo per chiudere questa stagione e restituire trasparenza e libertà d'azione al confronto su giustizia, legalità e rispetto delle regole». E perfino un falco come Fabio Granata si inalbera per le critiche. «Non c'è - avverte dalle colonne del Fatto Quotidiano - nessun voltafaccia. Abbiamo sempre detto che, senza far saltare nessun processo, siamo favorevoli a una protezione per Berlusconi».
L'accelerazione sul lodo Alfano non provoca però tensioni solo all'interno della maggioranza. Anzi, in casa dell'opposizione, fa addiritutta litigare il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, e il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro. Motivo del contendere: la paternità del referendum che, nelle intenzioni di entrambi, è l'unica arma per affossare lo scudo processuale per il Cavaliere. «Noi faremo la nostra battaglia e se non la spuntiamo in Parlamento - annuncia il numero uno dei Democrats - siccome ci vuole una maggioranza di 2/3 che non avranno, è chiaro che si arriverà al referendum abrogativo. Siamo fiduciosi che la battaglia si possa vincere».