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Osama Bin Laden vuol fare amicizia con te. Così la jihad fa proseliti su internet

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Questo articolo è stato pubblicato il 21 ottobre 2010 alle ore 15:13.

La famiglia viene da un paese dell'emisfero orientale, il figlio nasce in un paese occidentale dove inizia un percorso di radicalizzazione e, diventato indipendente, va a combattere in un terzo paese. È il profilo del jihadista globalizzato. Lui non si è radicalizzato nelle madrasse del Pakistan, dello Yemen e dell'Afghanistan. «Questi ha abbracciato l'ideologia del terrorismo» sostiene l'orientalista francese Oliver Roy «non a causa delle frequentazioni sbagliate ma in seguito a un'esperienza solitaria in una comunità virtuale, la ummah sul web».

Internet è il medium che offre il santuario ideale per i jihadisti convinti e che rende la loro ideologia più facile da comunicare e di conseguenza più accessibile.
Come fa notare un approfondimento pubblicato questo mese su Foreign Policy, stanno aumentando i website filo Al-Qaeda, i blog e i forum di indottrinamento e reclutamento. Per esempio, Al Emara, uno dei siti ufficiali dei talebani, propone aggiornamenti sulle operazioni belliche e una videoteca con le riprese degli attacchi terroristi andati in porto. Ansar al-Mujahideen è invece un web forum filo Al-Qaeda con migliaia di post sugli eventi che riguardano l'attualità geopolitica, l'interpretazione della religione islamica e le operazioni terroristiche. I partecipanti al forum si scambiano informazioni e link di video di attentati. Siti come Ansar Al-Mujahidnnen non sono accessibili a tutti. Si diventa membro con la mediazione di un insider. Come spiegato da Foreign Policy, questi forum e siti sono già approdati anche sui social network come Twitter e Facebook.

I social network rappresentano l'ambiente ideale per la mentalità e l'identità dei jihadisti globalizzati. Questi radicali non hanno un vincolo permanente con un paese. Mentre nella vita virtuale passano da un forum di Al Qaeda all'altro, nella vita reale transitano da una jihad all'altra e da un campo di addestramento all'altro. Secondo la tesi di Oliver Roy, «la loro rabbia non è l'espressione dello stato di collera di una comunità bensì quella di un gruppo virtuale. La dimensione generazionale è standardizzata: la maggior parte dei jihadisti on line ha rotto con la propria famiglia; il loro Islam è ricostruito e non trasmesso dal passato; sono individualisti e viaggiatori solitari; abbracciano la violenza nel corso di una vita che è stata vissuta nella più totale normalità. Sono individui che diventano eroi immaginari di una comunità virtuale attraverso l'atto del martirio». Dalle parole di Roy si evince che l'ideologia non gioca un ruolo predominante nel processo di radicalizzazione del jihadista globalizzato. Essi sono più attratti dalla narrazione delle gesta e delle imprese che dall'ideologia. Il protagonista della narrazione è l'eroe solitario che affronta il superpower, ovvero gli Stati Uniti d'America.

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Oltre al medium, un fattore che facilita la radicalizzazione è il linguaggio. La lingua araba si presta alla narrazione delle imprese fuori dal normale e dei gesti eclatanti. E' una lingua che ispira, che sprona ad agire, che riesce a suscitare una reazione, che fa esaltare chi l'ascolta. E allora, che cosa si può fare per fronteggiare la radicalizzazione on line di nuovi potenziali adepti, in particolare quei giovani di seconda generazione che più di altri possono subire il complesso di identità? Una linea guida arriva dal sito AltMuslim.com, un think tank americano di musulmani indipendenti e riformisti.

Per evitare che i giovani finiscano nella rete di Al Qaeda, suggerisce un'analisi sui processi della radicalizzazione on line, bisogna formulare una contro comunicazione via internet in grado di trasmettere e di suscitare sia un senso di orgoglio per la propria appartenenza etico-religioso che una prospettiva di scopo, di un obiettivo. E questo lo possono fare solo i musulmani. «Sembra ingiusto - ha scritto il co-fondatore di AltMuslims Shahed Amaullah - che ai musulmani venga chiesto di fare cose che agli altri, vedi i latini e gli afroamericani, non viene richiesto. Nessuno si aspetta che i latini risolvano i problemi legati alle loro gang da soli. Ma per i musulmani il discorso è diverso. Tuttavia, tutti coloro che ritengono che l'Islam sia una nobile tradizione che difende la vita, devono esibire e spendere la stessa energia, se non di più, di coloro che usano l'Islam come mezzo di scontro e il web come un santuario».

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