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Questo articolo è stato pubblicato il 29 ottobre 2010 alle ore 12:15.
Sulla giustizia il premier Silvio Berlusconi ha lanciato un aut aut da Bruxelles dove è arrivato ieri per il Consiglio europeo. Se non ci sarà un accordo sulla riforma, è l'avvertimento del Cavaliere, «allora produrrò un intervento in Parlamento in cui togliendo ogni infingimento e ogni ipocrisia, dirò agli italiani partendo dal Parlamento qual è la situazione della giustizia e della magistratura italiana». Perché la giustizia, ammonisce Berlusconi, «costituisce un macigno sulla vita democratica del nostro paese».
Berlusconi ha poi chiarito che il timing di questo intervento non è ancora fissato. «La data no è ancora decisa - ha spiegato il premier - e non so ancora dire se e e quando si farà» perché «sono in attesa di vedere come andranno i tentativi di accordo in corso con le altre forze parlamentari» e «non voglio anticipare un mio intervento forte che potrebbe influire negativamente su lavoro che si sta facendo». Ma se questo lavoro «non dovesse portare ad un risultato positiovo - dice Berlusconi - mi presenterò in Parlamento».
Intanto Gianfranco Fini ha ribadito oggi da Bari il suo no a una riforma della giustizia che assoggetti i pm al potere esecutivo. «Sarebbe grave - ha avvertito il presidente della Camera dal palco del teatro Piccinini - tornare alla soggezione dei pm all'esecutivo, com'era nel fascismo». Secondo il leader di Futuro e libertà, dunque, «non sarebbe motivo di scandalo separare le carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti, ma è una riforma da fare senza rinunciare all'indipendenza della magistratura. Carriere separate sì - ha sottlineato - ma senza assoggettamento all'esecutivo».
ll presidente della Camera, però, ha rimarcato anche il suo no a una modifica dell'assetto del Csm, come vagheggiato in una delle ultime bozze di riforma della giustizia firmata dal guardasigilli Angelino. L'attuale composizione dell'organo di autogoverno della magistratura, è il ragionamento di Fini, è «adeguatamente bilanciata». Se invece si aumentasse la componente "politica" del consiglio, «si esporrebbe l'organo a una forte dipendenza dal potere politico, con gravi rischi per l'imparzialità dei giudici. Ove codesta riforma fosse attuata si determinerebbe un'alterazione d'equilibrio fra i poteri dello Stato».