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Sacconi dice no a un governo di rottura. Berlusconi: se lasciassi grave danno al paese

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Questo articolo è stato pubblicato il 02 novembre 2010 alle ore 08:13.

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«Tutti i ministri, tutto il gruppo dirigente del popolo delle libertà si stringe attorno a Silvio Berlusconi e non accetta l'idea né di una crisi extraparlamentare né di un'alternativa di governo in questa legislatura. Sono convinto, a ragion veduta, di interpretare davvero la posizione di tutti i ministri: nessuno s'illuda, l'ennesima congiura non andrà a buon fine e, come è sempre accaduto, i congiurati si troveranno spiazzati perché avranno scommesso su ciò che non accade».

Maurizio Sacconi respinge ogni ipotesi di ribaltone alla vigilia della presentazione di un nuovo provvedimento «complesso ma totalmente autocompensato» che dovrà garantire nuove coperture a strumenti di coesione come gli ammortizzatori sociali ma anche a progetti infrastrutturali, la ricerca e l'università.


Ministro il Pdl resisterà anche a questa nuova crisi?
Nessuno del gruppo dirigente si renderà disponibile a null'altro che al governo Berlusconi. La Lega si conferma come alleato leale ed è oggettivo interesse del paese che l'esecutivo possa completare il mandato ricevuto dagli elettori nel segno soprattutto di quella stabilità di finanza pubblica che ha saputo garantire nel corso dei primi due anni e che è il presupposto di qualunque possibilità di crescita dell'economia e dell'occupazione.

E se sul caso Ruby si arrivasse a una sfiducia in Parlamento?

Se questo avvenisse vedo inesorabile il ricorso alle urne. Ma non lo credo perché il Pdl e la Lega sono impermeabili a qualunque pressione e perché ho fiducia che anche i parlamentari di Futuro e libertà avvertono il senso di onore e responsabilità che deriva dall'essere stati eletti in una lista che porta l'insegna Berlusconi presidente.

Come immagina reagirebbe in quel caso il presidente della Repubblica?Credo che non potrebbe mai accettare un governicchio debole, un governo della rottura nazionale utile soltanto a portare a governare chi è stato sconfitto dal voto. Soprattutto in un momento in cui occorre un adeguato consenso popolare per praticare la disciplina di bilancio che sola ci può salvare dai pericoli di instabilità che in ambito europeo abbiamo conosciuto e potremmo ancora conoscere come ci insegnano i casi della Grecia e della Spagna.

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Ministro si tratta di una crisi diversa da quelle degli ultimi mesi o è l'ennesimo attacco a un premier che continua a godere di un ampio consenso popolare?

Berlusconi ha saputo evitare la deriva illiberale che questo paese avrebbe inevitabilmente conosciuto con i cascami del vecchio Pci al potere. E se dopo la sua discesa in campo è stato vittima di 109 procedimenti giudiziari, 2500 udienze e, ancora adesso, mentre stiamo parlando, intorno a lui si sono mosse otto procure nell'arco di nemmeno un mese, ciò significa che oggi tocca a lui ma domani, se non avremo la capacità di risolvere l'anomalia italiana, la stessa sorte toccherebbe a qualunque altro leader dell'Italia dei moderati e dei riformisti, dell'Italia che nelle sue forme politiche rappresenta la grande maggioranza di chi produce e lavora.

È un attacco alla politica forte di un leader?

Nella storia d'Italia è sempre stato così, l'anomalia italiana s'è sempre manifestata nei confronti di tanti leader politici: da Leone a Fanfani a Andreotti e a Craxi. Persino De Gasperi, oggi tanto mitizzato, fu oggetto di aggressioni violente da parte dell'opposizione, di accuse violente. E domani chiunque prendesse la stessa bandiera di Silvio Berlusconi, tanto più se leader forte, capace di dare alla politiche quel primato che merita sarebbe poi oggetto di analoga aggressione politica, mediatica e giudiziaria.

Come risponde alle critiche di chi dice che il governo è immobile?

«Le respingo. La nostra non è una posizione meramente difensiva, noi stiamo governando. È ingiusto sostenere che il governo sia condizionato dal teatrino politico-mediatico-giudiziario. Mai in consiglio dei ministri ha incontrato nel suo seno divergenze e il blocco sociale che lo sostiene non ha mai manifestato finora dissensi sul merito delle cose fatte. Non solo è stata garantita stabilità e coesione sociale ma su questi presupposti è pronto a una robusta manovra autocompensata di crescita che vuole confermare gli ammortizzatori sociali ma allo stesso tempo sostenere le infrastrutture, l'università e l'innovazione e la ricerca. E, aggiungo, un programma nucleare che garantisca la nostra autonomia energetica.

Insomma le riforme vanno avanti?
Le cosiddette riforme tanto invocate dai professori che non si sporcano le mani sono in parte alle nostre spalle. Penso alla stabilizzazione della spesa previdenziale, avvenuta in modo molto più robusto di quanto in Francia si sta ipotizzando e senza quelle tensioni sociali. Ma penso anche alla spesa sanitaria, l'altra variabile pericolosa perché legata all'invecchiamento della popolazione: è stata messa sotto controllo con il commissariamento delle regioni inefficienti ed è ormai a portata di mano quel sistema di responsabilità garantita dei costi standard del federalismo fiscale che il governo ha già proposto e che ora le camere e la conferenza stato-regioni con i loro parere devono solo confermare. E si tratta di due voci di spesa decisive poste sotto controllo. E riforme strutturali come lo Statuto dei lavori o tutto ciò che concorre a dare certezza alla nostra giustizia e alla nostra regolazione sono pronte ad essere approvate nonostante le fortissime resistenze corporative.

Torniamo alla manovra che state per varare dopo la legge di stabilità. È confermata la sua portata di 6-7 miliardi?
È un provvedimento complesso che presenteremo nel giro di pochi giorni e vedremo alla fine quale sarà la sua portata. Ma dimostrerà l'alta capacità del governo perché garantire risorse per 6 o 7 miliardi a saldi invariati è operazione non semplice, tanto più se si conferma la volontà di non aumentare la pressione fiscale come abbiamo fatto finora, anche di fronte a situazioni imprevedibili come il terremoto.

Interventi che un governo diverso da questo non potrebbe garantire?
Sono certo che un governo partecipato dal Partito democratico non potrebbe condividere tutti questi percorsi perchè il Pd nel suo gruppo dirigente di radice comunista appare fortemente dipendente da tutte le forme di radicalismo, come abbiamo visto con quella piazza rossa organizzata dalla Fiom e dai centri sociali. Dal nucleare all'università al lavoro, ai tagli nella Pa che, come ha detto Renato Brunetta, si sostanzieranno in 300mila dipendenti in meno entro il 2013 resi verosimili da norme efficaci sulla mobilità: sono tutti aspetti su cui un governo partecipato dal Pd non sarebbe minimamente in grado di garantire.

Garanzie che invece dà Silvio Berlusconi?

Ci sono due garanzie aggiuntive che il governo Berlusconi può dare rispetto alla sinistra: la prima è la lealtà occidentale e l'impegno nella lotta al terrorismo internazionale in Afghanistan e altrove. L'altra garanzia è la difesa dei valori non negoziabili della vita, come abbiamo dimostrato nel caso Englaro e come dimostra l'agenda bio-politica presentata dal governo.

La presidente di Confindustria ha detto che le elezioni non sono la soluzione. Ma anche parlato di paese paralizzato, di mancanza di fiducia.

Condivido le sue sollecitazioni, che si rivolgono all'attuale governo, nella convinzione che solo l'attuale governo può consentire la continuità della legislatura garantendo la necessaria stabilità finanziaria. Tutto si può dire ma non che siamo rimasti a guardare: nel giro di pochi giorni presenteremo la manovra e il piano per il mezzogiorno sarà prodotto nell'arco di un mese in forte discontinuità rispetto alla fallimentare gestione dei fondi Ue da parte dei governi regionali che sono stati recentemente sostituiti con altre coalizioni.

La manovra risponderà alle richieste avanzate con i primi quattro protocolli dalle parti sociali?

Quelle richieste sono condivise dal governo anche se è chiaro che nuovi impegni di spesa richiedono quella quadratura del cerchio che si deve realizzare con una manovra autocompensata. Penso peraltro che il vero momento impegnativo per le parti sociali arriverà quando tra di loro dovranno individuare i modi con cui alzare la competitività del lavoro e del nostro sistema produttivo. Mi auguro che sapranno prendere decisioni condivise.

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