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Il dilemma di Barack: sterzare al centro o andare più a sinistra

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Questo articolo è stato pubblicato il 02 novembre 2010 alle ore 22:40.

NEW YORK - Cambiare strategia, guardare al centro, trovare un'intesa con i repubblicani. Analisti e commentatori consigliano a Barack Obama di superare la batosta di midterm esattamente come fece nel 1994 Bill Clinton, il suo predecessore democratico alla Casa Bianca. Ma il presidente americano potrebbe anche scegliere un'altra strada, meno scontata, più rischiosa, con un precedente storico altrettanto autorevole: il «give ‘em hell», il far vedere i sorci verdi ai repubblicani di Harry Truman nel 1946.

I repubblicani vincono alla Camera, il Senato resta democratico ma il divario è ridotto (dal nostro corrispondente Mario Platero)

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La soluzione pragmatica alla Clinton resta la scelta più probabile, ma la traiettoria politica di Obama, la sua storia personale e alcune dichiarazioni («preferirei essere un bravo presidente di un solo mandato piuttosto che uno mediocre per due mandati») lasciano però aperta la strada di un confronto ancora più serrato con i conservatori. Obama è un politico pragmatico, come spiega la brillante biografia intellettuale del presidente (Reading Obama: Dreams, Hopes, and the American Political Tradition) appena pubblicata dallo storico di Harvard James T. Kloppenberg. Ma il nuovo Obama post midterm potrebbe non essere diverso da quello vecchio: il presidente potrebbe abbandonare del tutto ogni velleità bipartisan, non muoversi di un millimetro dalle sue posizioni liberal e serrare le file dei fedelissimi – afroamericani, ispanici, studenti, intellettuali – per provare a ottenere nel 2012 la rielezione da perfetto leader progressista.

Clinton fece l'opposto. Al giro di boa dei primi due anni, perse 54 seggi alla Camera e 8 al Senato e dovette vedersela con un'agguerrita maggioranza conservatrice guidata da Newt Gingrich. Clinton impiegò alcuni mesi per trovare la ricetta giusta: chiamò alla Casa Bianca lo stratega Dick Morris, si riposizionò al centro e avviò la famigerata tattica della triangolazione, un modo cinico ma brillante per rendere i democratici più accettabili alla maggioranza conservatrice del paese, attenuando le posizioni più radicali (compresa la riforma sanitaria) e utilizzando le parole d'ordine dei repubblicani.

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In due anni, il presidente riuscì a sottrarre ai conservatori l'agenda, il consenso, le parole d'ordine e nel 1996 fu rieletto agevolmente. Il riposizionamento al centro, per Clinton, non fu un trauma. Aveva già vinto le primarie democratiche del 1992 presentandosi come un "new Democrat", un esponente centrista del movimento progressista, un leader impegnato a depotenziare l'anima radicale della sinistra americana.

Obama è più ideologo, meno piacione, meno politicante di Clinton. Il modello che potrebbe seguire è quello di Truman. Subentrato alla Casa Bianca alla morte di Franklin Delano Roosevelt, Truman alle elezioni di metà mandato del 1946 perse 55 seggi alla Camera e 12 al Senato. Il giorno dopo non andò incontro alle esigenze dei repubblicani, anzi propose ricette liberal per gestire l'economia post bellica. Quella era ancora l'America del New Deal, un paese a maggioranza progressista che aveva sperimentato i frutti benefici del massiccio intervento pubblico per superare la Grande Depressione. Truman interpretò bene l'umore dell'America e nel 1948 vinse per una manciata di voti quell'elezione presidenziale diventata famosa per la prima pagina del Chicago Tribune uscita col titolo sbagliato «Dewey sconfigge Truman».

Ai tempi di Clinton, quell'America era sparita. C'era stata la rivoluzione liberista di Ronald Reagan. La working class democratica si era fatta ammaliare dall'ottimismo reaganiano e la Right Nation conservatrice aveva preso il soppravvento culturale e ideologico nel paese. Clinton non poteva fare come Truman, la strada per la sua rielezione era stretta al centro. Nelle prossime settimane vedremo che cosa farà Obama per rilanciare la sua presidenza. Se giudicasse l'elezione di due anni fa come una ridefinizione in senso progressista dei connotati sociali dell'America ci dovremmo aspettare una battaglia frontale alla Truman. Se invece cercasse di andare incontro ai repubblicani, sarebbe probabilmente il segnale che nemmeno Obama crede più nella redenzione e nei tratti messianici della sua elezione 2008.

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