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Obama in India per ricucire con il business americano

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 novembre 2010 alle ore 09:32.

MUMBAI- Conflitto ideologico? Un anno fa, al vertice con Hu Jintao, l'America di Barack Obama ha scelto la Cina come interlocutore privilegiato. Oggi preferisce promuovere l'India come modello di sviluppo economico democratico, come punto di riferimento per le economie emergenti asiatiche che rischiano di essere fagocitate da Pechino.

L'offensiva trova il suo punto focale a Mumbai, prima tappa del viaggio asiatico di Obama, che oggi getterà le fondamenta perché l'India acceleri e diventi, nella sua identità caotica, il simbolo stesso del disordine creativo del capitalismo democratico, l'alternativa al capitalismo centralizzato, freddo ma efficente di Pechino.

Per l'America, la Cina non può diventare il modello di leadership globale per il futuro. E dunque Obama parte alla carica con un'offensiva economica su due fronti. Uno esterno, macro, per il grande interscambio. E uno che guarda all'America. Perché in questo viaggio c'è anche in gioco il recupero di rapporti fra Barack Obama e la business community americana. Con lui ci sono 200 uomini d'affari, forse la delegazione più folta della storia. C'è un'agenda organizzata che punta a vendite militari e a riduzioni di barriere commerciali. C'è una possibile commessa per 10 C-17 da trasporto della Boeing Globemaster III per un valore di 5,8 miliardi di dollari. Ci sono i capi della Harley Davidson, dei cosmetici Mary Kay e di Wal Mart che oggi non può ancora invadere la placida India. Ci sono anche Jeffrey Immelt, Ceo di General Electric, il primo a dire mesi fa che i rapporti fra Obama e il mondo degli affari erano pessimi. E che oggi porta il ramoscello d'ulivo. C'è Indra Nooyi, nata in India, immigrata in Usa, diventata amministratore delegato della Pepsi Cola.

Nel pomeriggio il presidente vedrà gli imprenditori indiani, poi gli amministratori delegati di grandi aziende raccolti in un forum bilaterale indoamericano e infine pronuncerà il primo discorso di questo suo viaggio asiatico all'Indian business council. Un'offensiva tutta economica perché l'India per ora resta solo il 14° partner commerciale americano. Qualche miglioramento c'è. Per i primi sei mesi di quest'anno i commerci sono già cresciuti del 14%. Alla fine del 2009 c'erano 7 miliardi di dollari di avanzo per l'India su un interscambio di 60,2 miliardi di dollari. Una frazione rispetto a un interscambio da 434 miliardi di dollari fra Cina e Usa. Con un avanzo per Pechino da 262 miliardi di dollari. Eppure entrambe le nazioni hanno oltre un miliardo di abitanti. Come mai?

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Secondo Shashi Tharoor, parlamentare indiano: «L'idea indiana è all'opposto di quello che i freudiani chiamano il "narcisismo delle differenze minori". In India celebriamo la comunanza di differenze maggiori. Se l'America è il "melting pot", l'India e il "Thali", una selezione di ricette sontuose in piatti diversi». E questo crea conflitti, differenze che rallentano. Una diversità che resta però armonica. La vediamo nelle disordinate strade di Mumbai, passata da 340 milioni di abitanti a 1,2 miliardi in sessant'anni e con 600mila studenti iscritti all'università, solo in città. La babele indiana la scopriamo nei 35 gruppi etnici diversi, nelle 25 lingue ufficiali, nel pluralismo religioso di un paese che resta secolare, ma che ospita quasi tutte le religioni del mondo. Insomma, per indole, democrazia, libertà civili, l'India è l'opposto della Cina, il concorrente regionale monolitico, rigido, sospettoso, assolutista.

Che però marcia ordinato verso obiettivi pluriennali di crescita che per l'India sembrano incolmabili. Obama farà il possibile ma le difficoltà restano. L'India potrebbe resistere all'abbattimento di molte barriere. L'America invece potrebbe impedire la liberalizzazione di certi crittogrammi informatici per timore che siano sfruttati militarmente. Differenze normali. Come dice Tharoor, fra le democrazie non c'è sempre bisogno di accordo, «con l'eccezione delle norme che regolano il disaccordo».

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