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Corteggiati e pagati poco. I bravi cuochi vanno in paradiso, gli italiani all'estero. Ecco i loro racconti

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Questo articolo è stato pubblicato il 12 novembre 2010 alle ore 13:18.

Bottura: in Italia le opportunità ci sono, mancano pazienza e umiltà (di Fernanda Roggero)

Assaggiare cioccolata può essere un lavoro da scienziati (di Chiara Albanese)

«I bravi cuochi vanno in paradiso», diceva un proverbio anonimo. Nell'attesa, vanno all'estero. Molti giovani aspiranti chef italiani fanno gavetta embedded nelle cucine dei ristoranti europei e d'oltreoceano, in America e in Asia. Non hanno ancora avuto l'onore di partecipare ai programmi televisivi della mattina, né di rientrare nelle classifiche delle superstar. Per dire, di recente il Wall Street Journal ha inserito nella lista di Bruce Palling due italiani tra i dieci migliori giovani chef europei. nell'attesa della consacrazione i più grandi fan delle nuove leve, intanto, restano i clienti abituali, quelli che dopo aver provato un'esperienza gastronomica indimenticabile passano in cucina a fare i complimenti e diffondono il passaparola tra gli amici e sul web.

«Sono tanti i cuochi che lasciano l'Italia», dichiara Sonia Re, responsabile marketing e comunicazione dell'associazione professionale cuochi italiani. «C'è molto interesse da parte dei giovani per la professione dello chef, che però viene apprezzata solo in quanto si può diventare star della tv. In realtà pochi riescono a sfondare e a guadagnare tanto. Gli altri lavorano con stipendi bassi». Proprio perché il mestiere è duro e di rado strapagato, non c'è la fila di italiani alle scuole. Nel settore ristorazione, in effetti, è boom di corsi, ma per diventare pizzaioli e gelatai. «Il 40% dei corsi di cucina per cuochi sono seguiti da sudamericani, mentre si nota un forte interesse da parte di egiziani e cinesi ad aprire attività commerciali come pizzerie e gelaterie», dichiara Andrea Gilardone, segretario dei corsi serali del Capac di Milano.

Già, gli italiani. Una recente rapporto di Confartigianato-Unioncamere ha lanciato il grido di dolore: con la disoccupazione giovanile ai massimi storici (26%) i ragazzi snobbano i lavori artigianali pur molto richiesti. Tra questi c'è anche il cuoco. Eppure il mercato cerca. In Germania, per esempio, proprio i cuochi sono i più desiderati dalle aziende dopo ingnegneri e autisti.

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La superstar Bottura: in Italia le opportunità per i giovani cuochi ci sono, mancano pazienza e umiltà (Fotogramma)

La superstar Bottura: in Italia le opportunità per i giovani cuochi ci sono, mancano pazienza e umiltà

«In questo momento siamo quindici in cucina, tutti a far tortellini, e molti sono giovanissimi».

Un milione di nuovi posti nelle aziende tedesche (Reuters)

Un milione di nuovi posti nelle aziende tedesche. Ingegneri, autisti e cuochi i più richiesti

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Alla ricerca di un taste assistant della cioccolata. Il video di Green & Black

Tags Correlati: America | Andrea Gilardone | Armani | Asia | Benedetto XVI | Bruce Palling | Capac | Condoleezza Rice | Fabio Salvatore | Giuliana Cavallo | Inghilterra | Italiani all'estero | Libere professioni | Maurizio Pellegrini | Milano | Simone Parisotto | Sonia Re

 

Insomma, c'è chi avrebbe il pane, ma non fa lavorare i denti. «Tutto sta nella passione per questo lavoro - sostiene Giuliana Cavallo, responsabile orientamento dell'Istituto Alberghiero Carlo Porta di Milano -. Chi è tenace ce la fa, e al riguardo mi viene in mente Davide Oldani, un ex studente del nostro istituto». Oldani oggi è una superstar assoluta con il suo ristorante D'O, alle porte di Milano. Chi, come lui, ha preferito fare da sé, ha avuto ragione. «Dopo aver girato le cucine di tutto il mondo - racconta Maurizio Pellegrini, 36 anni, chef dell'Italian Club Fish di Liverpool - ho deciso di aprire la mia attività. In cinque anni ho fatto partire due locali in Inghilterra».

Scelta vincente. Del resto, grazie alla maggiore mobilità garantita dai voli low cost, è relativamente semplice decidere di andare a mangiare un ottimo piatto italiano all'estero. «Un weekend sono venuti alcuni italiani a Liverpool - racconta ancora Maurizio - e mi hanno fatto i complimenti perché hanno detto di aver mangiato meglio che a Milano».

Ma c'è anche chi esporta cultura gastronomica in Asia insegnando l'arte della pizza napoletana agli orientali, come Salvatore Cuomo, a capo di 80 locali distribuiti tra Tokyo, Singapore e Seul. C'è chi come Maurizio Colaianni, 40 anni, chef del ristorante San Marino, in Belgio, lascia il posto in un hotel di Bordighera per aprire la sua attività. «Cercavo un posto dove tutto fosse più semplice a livello burocratico. In Italia ci tornerò da pensionato».

«Sono arrivato a New York senza lavoro», racconta Simone Parisotto, 31 anni, ex studente al Carlo Porta di Milano, «dopo un'esperienza di lavoro da Armani e Cavalli». In breve tempo sono stato scelto da Sant Ambroeus a Manhattan (lo storico marchio della ristorazione milanese) dove tuttora lavoro come chef in uno dei ristoranti della catena, il "Felice Wine Bar" nell'Upper East Side. La nostra clientela è gente altolocata che ama la cucina italiana tradizionale». Per fare un esempio, vogliono le farfalle al sugo di pomodoro e se sono terminate, «non puoi variare il piatto con i maccheroni». A fine serata «spesso passano in cucina per dirci che amano i mie piatti perché sono delicati e leggeri, ma vorrei però sbizzarrirmi un po' di più».

Fabio Salvatore sogna di fare lo chef alla Casa Bianca. Attualmente capo cuoco al Café Milano di Washington, le sue frequentazioni professionali sono di altissimo livello. Il ristorante è frequentato regolarmente da ambasciatori, politici della Casa Bianca, e attori. «Da noi cenano Condoleezza Rice, I coniugi Clinton, Angiolina Jolie. Ho anche avuto l'onore di preparare la cena a Benedetto XVI», racconta Fabio. «Il papa è venuto in visita a Washington nel 2008». E cosa mangiano i Clinton? «Di solito scelgono un primo, come le tagliatelle fatte in casa», svela Fabio, a cui chiediamo se ha mai pensato di tornare in Italia. «Sono andato via per guarire da una ferita d'amore. Qui sto benissimo. Ho a disposizione ingredienti provenienti da tutto il mondo, posso divertirmi in cucina e mi sento molto rispettato come chef».

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