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Aiuti Ue alle banche irlandesi: sul piatto 100 miliardi. I dubbi dell'Austria affossano l'euro

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 novembre 2010 alle ore 06:36.

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BRUXELLES - Messaggio rassicurante ai mercati dall'Eurogruppo, sventolando gli sforzi di aggiustamento in corso in Irlanda dove entro fine mese, ha precisato il presidente Jean-Claude Juncker, saranno varate misure correttive per 15 miliardi in 4 anni con possibilità, se necessario, di altre supplementari, in Portogallo dove il deficit sarà ridotto del 4,6% nel 2011, in Grecia dove il risanamento appare sulla buona strada. Juncker, al termine della riunione, si è «felicitato» con il governo irlandese anche per «le discussioni avviate con Commissione Ue, Bce, Fmi per far fronte ai rischi bancari», confermando che, in caso di una richiesta, «agiremo come area euro per garantirne la stabilità in quanto abbiamo i mezzi per farlo».

Secondo indiscrezioni il governo irlandese starebbe trattando su un pacchetto di aiuti che potrebbe arrivare a 100 miliardi di euro, metà a sostegno delle banche e metà dei disastrati conti pubblici tartassati da un deficit del 32%. Metà della somma verrebbe fornita dall'Efsf (European Financial Stability Facility), il meccanismo anti-crisi a disposizione dei paesi dell'euro, questa volta però con la richiesta di un forte contributo bilaterale britannico. Le banche inglesi sono infatti le più esposte con gli istituti irlandesi a rischio bancarotta, dunque le future maggiori beneficiarie, seguite da tedesche e francesi. L'Efsf sarebbe pronto a «ricorrere al mercato a giorni», se necessario.
Le discussioni tra i 16 ministri finanziari dell'Eurogruppo, che proseguiranno oggi allargate ai 27 ministri dell'Ecofin, apparivano finalizzate a mettere a punto un piano di intervento sulla carta, da far scattare al momento opportuno. Perché l'Irlanda per ora si ostina a non invocare aiuto. Perché non è chiaro se alla fine il piano europeo si limiterà a garantire solo il salvataggio del settore bancario oppure coprirà anche le finanze pubbliche. «Non abbiamo chiesto nessun intervento. Stiamo semplicemente discutendo con l'Unione europea quali misure di stabilizzazione potrebbero essere necessarie» ha dichiarato in parlamento Brian Cowen, il premier irlandese. Che, nonostante le pesanti pressioni dei partner, continua a ribadire di essere coperto fino alla metà del 2011 sul fronte del rifinanziamento del debito pubblico pur essendo esposto su quello bancario. In realtà il governo, che il 25 dovà affrontare un'elezione locale, resiste all'idea del commissariamento europeo del suo paese, come già accaduto alla Grecia. Non vuole svendere la sovranità nazionale. In particolare quella fiscale che, con l'aliquota del 12,5% per le imposte societarie, ha attirato legioni di investitori esteri. Per i partner Ue che hanno sempre vissuto quella tassa come puro dumping ai loro danni, farla saltare, nell'ambito delle condizioni imposte per garantire assistenza finanziaria, è un'occasione ghiotta.

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Il tempo stringe. Persino Tim Geithner, il segretario al Tesoro americano, si è fatto sentire invitando gli europei «ad agire in fretta» per arginare la crisi dell'euro. Chi di sicuro ieri sera mordeva il freno era Jean-Claude Trichet. Per due ragioni. Il presidente della Bce sa di non poter continuare all'infinito a foraggiare da solo il bisogno di liquidità delle banche irlandesi. Al tempo stesso vuole fermare al più presto il rischio di contagio nella periferia dell'area tra i paesi più indebitati che vedono schizzare sempre più in alto il costo per rifinanziare il proprio debito sui mercati obbligazionari.
«È in gioco la sopravvivenza dell'euro, quindi della stessa Ue» ha avvertito Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio Ue. Olli Rehn, il commissario competente, ha gettato acqua sul fuoco: «Dobbiamo ritrovare il senso di unità e di determinazione, lavorare per restaurare la stabilità finanziaria. Oggi l'Irlanda è il nostro problema più pressante». Ma non è il solo.
Il Portogallo potrebbe seguire con una richiesta di aiuti. Con a ruota la Spagna anche se ieri Elena Salgado, ministro delle Finanze, ha ripetuto che «non c'è ragione di preoccuparsi per la Spagna». Resta che anche la potenziale crisi iberica ha occupato le discussioni dell'Eurogruppo.
Come se di problemi non ce ne fossero già abbastanza, ieri il ministro austriaco ha annunciato il rifiuto a partecipare al finanziamento delle terza tranche di dicembre del prestito alla Grecia in quanto Atene non avrebbe rispettato tutti gli impegni presi. Risultato, l'euro ha perso terreno.

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