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WikiLeaks mette a nudo la diplomazia Usa. Berlusconi: non frequento festini selvaggi

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre 2010 alle ore 19:43.

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La Casa Bianca di Barack Obama soppesa le possibili ripercussioni diplomatiche che potrebbe avere l'ultima fuga di notizie (leaks) a cura di WikiLeaks, il sito antagonista di Julian Assange specializzato nel pubblicare online documenti, diari, dispacci più o meno segreti carpiti dai server dell'Amministrazione americana (probabilmente grazie all'aiuto dell'analista dei servizi Bradley Manning, ora agli arresti). Nella giornata di lunedì sono state avviate «indagini penali: la diffusione di questi documenti ha messo in grave pericolo funzionari americani in tutto il mondo», ha detto il ministro americano della Giustizia, Eric Holder.

Dopo la pubblicazione dei brogliacci di guerra in Afghanistan, WikiLeaks domenica sera ha reso di dominio pubblico su scala planetaria 250mila documenti inviati tra il 2006 e l'inizio 2009 al Dipartimento di Stato da 270 tra ambasciate e consolati americani sparsi in giro per il mondo. I documenti sono stati prima girati al New York Times, al Guardian di Londra, a El Pais, a Le Monde e allo Spiegel. Poi sono apparsi anche sul sito di WikiLeaks, che nel pomeriggio sarebbe stato oggetto di attacchi informatici. Sabato il sito del settimanale tedesco aveva messo online per errore la notizia che la pubblicazione sarebbe iniziata domenica sera alle 22.30. Ma è stato il New York Times, intorno alle 19 italiane di ieri, ad anticipare i primi documenti.

La rivelazione più importante, secondo il quotidiano newyorchese, è la richiesta saudita agli americani – autorevolmente espressa dal Re Abdullah – di bombardare l'Iran, in modo da fermare una volta per tutte il progetto nucleare degli ayatollah sciiti. Niente di sconvolgente, in realtà. Si sapeva da tempo che i paesi arabi chiedevano un intervento armato per fermare l'Iran. Tra gli estratti dai documenti riservati c'è anche un'altra notizia imbarazzante per la Casa Bianca: «I diplomatici degli Stati Uniti hanno ricevuto l'ordine da parte del Dipartimento di Stato Usa di spiare l'Onu», enfatizza El Pais. «Il Dipartimento di Stato, dallo scorso anno, ha chiesto ai funzionari di 38 ambasciate e missioni diplomatiche documentazione e informazioni sulle Nazioni Unite, incluso il segretario generale», Ban Ki Moon. La nota è stata inviata alle ambasciate americane da Amman a Berlino fino a Zagabria.

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Sul premier italiano, invece, c'è la segnalazione dei diplomatici americani della forte alleanza tra Vladimir Putin, primo ministro russo, e Silvio Berlusconi, fatta di «regali lussuosi» e contratti energetici. Il documento, scrive il Times, parla anche di un faccendiere italiano che parla russo e di Berlusconi diventato «il portavoce di Putin in Europa».Una relazione straordinariamente stretta, quella fra Putin e il primo ministro italiano, che include «regali generosi» e contratti energetici redditizi. Gli Stati Uniti appaiono poi preoccupati per l'intesa tra Eni e Gazprom su Southstream, il mega-gasdotto che collegherà Russia ed Europa.

A fare discutere c'è il riferimento, nei documenti, alle «feste selvagge di Berlusconi» e a una serie di giudizi assai taglienti dell'incaricata d'affari americana a Roma, Elizabeth Dibble, sul presidente del consiglio italiano: «Suscita a Washington sfiducia profonda» ed è «incapace, vanitoso e inefficace come leader europeo moderno». Berlusconi, scrive Dibble, è un capo di governo «fisicamente e politicamente debole» le cui «frequenti lunghe nottate e l'inclinazione ai party significano che non si riposa a sufficienza».

Non ci sono solo le «feste selvagge» di Berlusconi nei file segreti pubblicati da WikiLeaks, ma anche giudizi su altri leader. «Putin è autoritario e machista», scrivono i diplomatici stanutenitensi nelle proprie comunicazioni riservate. «Gheddafi usa il botox ed è un vero ipocondriaco», al punto da far filmare i propri esami clinici per potersi consultare con più dottori diversi. Secondo i rapporti inviati dalla diplomazia americana a Washington, il leader libico (che riceverà lunedì Berlusconi per la sesta dal 2008) è visto «raramente» senza la compagnia di Galyna Kolotnytska, la «sua infermiera ucraina», descritta come una «bionda voluttuosa».

Quanto a «Sarkozy va tenuto sotto stretta sorveglianza», per prevenire eventuali iniziative politiche anti-americane. Angela Merkel è descritta come una leader «poco creativa» che «evita i rischi», una politica che preferisce «restare in retroguardia per conoscere gli equilibri delle forze». Mentre «Hu Jintao lotta per il potere in Asia» e la supremazia regionale della Cina è data per acquisita. I diplomatici americani scrivono, tra l'altro, che il presidente venezuelano Hugo Chavez va isolato e che la Turchia è impegnata in una sorta di doppio gioco tra Europa e Iran.

Julian Assange, attraverso il suo avvocato, ha chiesto all'ambasciatore americano a Londra se la pubblicazione dei documenti rischia di mettere in pericolo alcuni dei nomi di privati cittadini citati nei file in via di pubblicazione. Il Dipartimento di Stato ha risposto con una lettera formale del consigliere legale Harold Hongju Koh: «Se avete ricevuto i materiali che intendete pubblicare da un funzionario governativo, o da un intermediario, senza una precisa autorizzazione, si tratta comunque di una violazione della legge americana anche se la pubblicazione non avrà conseguenze gravi». Il consigliere legale di Hillary Clinton ha ricordato al fondatore di WikiLeaks tutta una serie di rischi e di reati legati alla pubblicazione dei documenti. Improbabile, però, che la lettera di Koh faccia cambiare idea a Julian Assange.

Il New York Times ha scritto 11 mila dei documenti ricevuti sono «segreti», altri novemila sono «noforn», cioè contenenti informazioni da non condividere con i rappresentanti degli altri paesi. Tutti gli altri sono semplicemente «confidenziali» oppure non hanno alcuna classificazione. Anche se i documenti non sveleranno niente di clamoroso (pur mettendo in imbarazzo la diplomazia americana), come è successo in passato con i diari di guerra dall'Afghanistan, Julian Assange è già diventato una specie di Robin Hood del cyberspazio e WikiLeaks il sinonimo di battaglie civili per la verità, la giustizia e la pace.

I grandi giornali internazionali che hanno ricevuto il materiale fanno benissimo a valutarlo, confrontarlo con l'Amministrazione Obama e poi a pubblicarlo, ma l'obiettivo di Julian Assange non è quello di informare. Non è un giornalista. Non è un paladino dell'informazione. Il contenuto di quei documenti non gli interessa. Ciò che gli interessa è il numero sempre più alto di violazioni al fortino americano – 92 mila documenti la prima volta, ora 250 mila – non che cosa ci sia scritto dentro quei dispacci.

A fare notizia non è il contenuto, ma il contenitore. Il successo di WikiLeaks si misura sulla bravata internettiana, sull'anonimato ricattatore, sullo sberleffo al potere. Anche perché, a leggerli davvero, i primi brogliacci di WikiLeaks raccontavano che i morti in Iraq erano certamente stati moltissimi, come si sapeva, ma meno di quanto si temeva e, peraltro, a grandissima maggioranza uccisi da terroristi sunniti e milizie sciite.

Quei documenti svelavano anche che i detenuti iracheni stavano meglio quando le prigioni erano gestite dagli americani (responsabili di Abu Ghraib) e che l'Iran è stato il maggior responsabile della carneficina irachena, a dimostrazione che Bush non aveva esagerato il ruolo nefasto di Teheran nel causare il caos in Mesopotamia. Si trattava comunque di notizie vecchie, superate dagli eventi e dalle decisioni di Barack Obama. Addirittura a discolpa di Bush, in certi casi (come era ovvio, visto che si trattava di documenti del Pentagono). Nei file di WikiLeaks, c'erano le prove, come ha scritto la rivista Wired, che in realtà nell'Iraq di Saddam Hussein ci fossero armi di distruzione di massa, dopo la deposizione del regime in parte finite nelle mani dei terroristi.

L'obiettivo di Assange non è nemmeno quello di promuovere la pace, come ha fatto notare sul New York Times Andrew Exum, analista militare dell'obamiano Center for a New American Security. Le critiche ad Assange sono arrivate anche da cinque associazioni in difesa dei diritti umani (da Amnesty International alla Open Society di George Soros), preoccupate che le precedenti rivelazioni di WikiLeaks avessero messo in pericolo la vita di quegli afghani che, aiutando gli americani, si battono perché il loro paese possa avere un futuro senza talebani. L'obiettivo unico di Assange e WikiLeaks è imbarazzare l'Amministrazione americana guidata peraltro dal Premio Nobel per la Pace, di farla fuggire a gambe levate dall'Afghanistan, di assestarle un colpo letale.

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