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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2010 alle ore 17:23.
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Hillary Clinton è in un mare di guai diplomatici. Il ciclone WikiLeaks, con la pubblicazione di oltre 250.000 dispacci confidenziali del Dipartimento di Stato, è ancora in divenire le ripercussioni finali per la politica estera americana restano da determinare, se si tratta anzitutto di imbarazzo, di una bufera temporanea, oppure se in gioco sono danni più gravi. Ma di sicuro ha reso difficile la vita – e la missione – del Segretario di Stato, dentro e fuori dal paese.
Washington cerca di sdrammatizzare e non pochi osservatori assicurano che la bufera di "trasparenza" sui corridoi del potere passerà senza lasciarsi veri disastri alle spalle. All'estremo opposto, però, cominciano a serpeggiare, seppure ai margini del mondo politico, persino richieste di dimissioni per Clinton: sono arrivate da quartieri disparati quali l'uomo forte del Venezuela Hugo Chavez e il commentatore delle rivista online Slate Jack Shafer. E se la presa di posizione anti-americana di Chavez è prevedibile quanto ininfluente («le dimissioni sono il minimo dopo tutti i reati commessi dagli Stati Uniti»), quella di Shafer, simbolica di un dibattito che rimbalza su Internet, potrebbe essere indicatrice della grande sfida oggi davanti alla Clinton. Mette in discussione, in pratica, la futura efficacia della sua leadership, che ora sarebbe nuovamente da dimostrare.
Il commentatore sostiene che potrebbe diventare difficile, nei mesi a venire, per la Clinton trattare con forza, credibilità e necessaria discrezione con la diplomazia estera. Quindi, alla fine, potrebbe rivelarsi difficile «continuare come Segretario di Stato» per una Clinton «indebolita e umiliata». Citando, tra le rivelazioni che finora hanno destato più scalpore, oltre agli espliciti giudizi su premier e capi di stato lo spionaggio ordinato ai diplomatici americani ai danni dei colleghi internazionali e anche dell'Onu. In un segno delle potenziali tensioni, per esempio, il primo ministro russo Vladimir Putin ha reagito ieri con durezza a critiche alla "sparizione" della democrazia a Mosca, invitando Washington a non interferire nella politica interna del suo paese.