Questo articolo è stato pubblicato il 07 dicembre 2010 alle ore 08:04.
La chiamano l'Emilia del Sud per quella capacità di gestire e mantenere il consenso elettorale nel centrosinistra, nonostante Berlusconi ora, nonostante tangentopoli e la fine dei vecchi partiti prima. Con una differenza sostanziale: in Emilia, quella raccolta dal Pd è stata l'eredità del Pci, in Basilicata della Dc. I risultati, 16 anni dopo la fine della Prima Repubblica, sono sotto gli occhi di tutti: in Lucania i democratici governano ovunque, in Regione, nelle due province, nei due comuni capoluogo. E il governatore Vito De Filippo si vanta di essere stato alle ultime elezioni il presidente di regione più votato d'Italia, in termini percentuali naturalmente, con il 60,81% dei consensi, più di Vasco Errani (52,1%) e più di Luca Zaia (60,15%). Quella che la Basilicata ha saputo preservare è la tradizione del cattolicesimo democratico.
Le ragioni del successo del modello lucano si snodano tutte attorno a un nome, quello di Emilio Colombo, più volte ministro, presidente del consiglio (tra il '70 e il '72), esponente di spicco della Democrazia cristiana, a capo di una delle delle componenti centriste, certo non di sinistra. Eppure Colombo, come molti altri della sua area, scelse il centrosinistra quando Berlusconi scese in campo, convinto che i principi del cattolicesimo democratico in quella coalizione sarebbero stati meglio rappresentati, critico soprattutto verso gli accenti populisti del leader del centrodestra. Fu anche un soprassalto etico che lo spinse verso questa scelta, perché a suo modo di vedere Rocco Buttiglione quando siglò l'accordo dell'8 marzo di Via dell'Anima con Berlusconi tradì gli impegni presi.
Fu così che in Basilicata avvenne l'opposto di quanto accade nel resto d'Italia. E i colombiani, la più potente corrente democristiana lucana, si allearono con il centrosinistra. Il loro consenso in regione era molto alto tra gli elettori. L'area di sinistra della Dc (la corrente Base), guidata da Angelo Sanza, anche in seguito a divisioni con i colombiani, nella spaccatura del Ppi andò con Rocco Buttiglione e il centrodestra, ma sul territorio lucano era minoritaria. Di fatto in Basilicata si è realizzata una vera fusione tra i due partiti (ex Dc e ex Pci) molto prima della nascita del Pd. «Era il 1995», ricorda Antonio Boccia (presidente della Regione dal '90 al '95 e poi parlamentare) e «nelle elezioni per il rinnovo dell'assemblea regionale ci fu l'accordo tra i due segretari (di Ppi e Pds) per affrontare la campagna sotto il segno dell'Ulivo». Insomma il modello lucano nasce da lontano. «Eravamo realmente servitori del popolo», dice Boccia «a disposizione delle persone 24 ore su 24. E non abbiamo mai avuto scandali, ruberie, anche se le inchieste di tangentopoli riguardarono pure noi».
Se esiste un modello lucano al quale il Pd nazionale guarda con interesse è dunque merito della tradizione (democristiana) che è stata preservata e della capacità (pure questa ereditata) dei dirigenti locali di mantenere un forte radicamento sul territorio. E poi ci sono ragioni cultural-antropologiche che hanno funzionato da anticorpi a un certo tipo di berlusconismo. Passato e presente qui sembrano potentemente intrecciati in un concentrato che Roberto Speranza, 31enne segretario del Pd regionale racconta così: «la nostra è una società fatta di tanti piccoli comuni, di relazioni sociali molto forti, di connessioni particolarmente significative. Che i dirigenti di testa della Dc ci hanno aiutato a mantenere». Ma c'è anche un'altra questione: ai lucani «la società dell'ultra comunicazione, dell'effimero, trasmessa dalle tv non piace». Del resto «la nostra è una storia fatta di tante sofferenze, di grande umiltà e lavoro, una cultura contadina poi anche operaia, con una tradizione cattolica molto forte».
Qualcuno, i democratici lucani, li ha paragonati alla Lega quanto a capacità di radicamento sul territorio. In effetti il confronto non è così strampalato, perché per il Pd qui «la comunicazione - dice Speranza - è la relazione». «È questa la nostra forza, la vicinanza ai cittadini, il tentativo costante di risolvere i problemi». «Abbiamo un circolo in ogni comune, riusciamo ad essere presenti dappertutto. In una società così piccola (600mila abitanti) avere tante persone che svolgono funzioni sul territorio (sindaci, assessori) ci porta ad una connessione potente con la realtà».
Tradizione e rinnovamento sembrano viaggiare sottobraccio. Che l'eredità (politica) non sia andata persa è provato da un fatto inequivocabile: qui il centrodestra non è mai andato al potere. E l'innovazione? In regione «abbiamo voluto una giunta alternativa, di forte discontinuità con il passato», racconta il presidente, Vito De Filippo. In quarant'anni di storia non c'è mai stato un assessore donna e ora «ce ne sono tre su sei, il 50 per cento» e poi «abbiamo due esterni ai partiti: l'assessore alle Infrastrutture (Rosa Gentile) era una dirigente nazionale di Confartigianato e quello alla sanità (Attilio Martorano) l'ex presidente della Confindustria regionale». La maggioranza che governa la Regione va dall'Udc a Sel e considera il rigore finanziario la sua priorità. «Siamo la regione al Sud - dice il presidente - che ha sempre rispettato il patto di stabilità, non abbiamo disavanzi sanitari e il nostro rating di bilancio è valutato da Moody's tra i migliori d'Italia». E poi «in controtendenza assoluta a livello nazionale, stiamo investendo su scuola e Università». In questi giorni è in discussione la finanziaria che verrà votata il 23 dicembre e «nonostante i tagli del governo abbiamo costruito una convenzione con l'Università attraverso una legge regionale: investiamo per i prossimi 9 anni 90 milioni di euro, 10 milioni all'anno». Ma De Filippo punta parecchio pure sul welfare: «Abbiamo un sistema di politiche sociali molto avanzato, organizzato sul territorio con servizi in crescita sia per chi soffre di handicap che per gli anziani, oltre che per i bambini».
Ma perché in Basilicata la tradizione democristiana è uscita indenne dall'uragano che ha distrutto i vecchi partiti della Prima Repubblica mentre altrove, nel Nord-est per esempio, c'è stata una rottura decisa con il passato? «Il nostro gruppo dirigente - precisa il giovane segretario democratico - non ha scheletri nell'armadio. Perché se i vertici di Dc e Psi nella fase di Tangentopoli sono stati cancellati, questo da noi non è accaduto. Eppure Emilio Colombo non era certo un esponente politico di secondo piano, è stato presidente del Consiglio ed era ministro degli Esteri nel governo Amato (nel '92)». Insomma «nella fase di maggiore offensiva della magistratura rispetto alla politica non c'erano lucani coinvolti, nonostante le posizioni di prima linea che occupavano».
Qualche cortocircuito tra politica e magistratura Eppure in tempi recenti qualche cortocircuito tra politica e magistratura è arrivato. Nei mesi scorsi due deputati Pd della Basilicata sono stati coinvolti in inchieste della magistratura di Potenza (Salvatore Margiotta per le presunte tangenti sulle estrazioni petrolifere e Antonio Luongo nelle indagini per un presunto intreccio tra politica e impresa). E poi c'è la famosa inchiesta Toghe lucaneche portò anche a uno scontro tra procure. «Su questa questione non c'è una condanna - dice Vito De Filippo (finito più volte sotto inchiesta per poi vedere archiviata la sua posizione) - e nella stragrande maggioranza dei casi c'è stata una richiesta di archiviazione nella fase istruttoria». «Nessun nostro dirigente è stato condannato - gli fa eco Roberto Speranza- del resto quando si governa è normale che vengano fatte delle inchieste, ma tutte sono finite in nulla».
Ma torniamo alla domanda iniziale. Come è accaduto che la tradizione cattolico democratica sia passata indenne da tutte le trasformazioni di questi anni, berlusconismo compreso? «Qui c'è stata un'amministrazione pubblica mediamente stimata», risponde il presidente Vito De Filippo. «E questo non ha consentito la costruzione di un'alternativa facilmente. E poi la nostra organizzazione sul territorio ha resistito anche nei momenti difficili. Abbiamo sempre mantenuto ottimi rapporti con le comunità, l'associazionismo, le organizzazioni professionali, i ceti imprenditoriali». Ma c'è anche un fatto culturale, in virtù del quale «il modello berlusconiano non attecchisce. Qui c'è un modo di fare diverso», dice il segretario regionale Pd, Roberto Speranza. Perché «siamo 600mila abitanti, divisi in 131 comuni, molti dei quali piccolissimi, dove le relazioni sociali pesano molto più del rapporto immediato con le televisioni».
Non solo in Regione ma anche in provincia a Potenza e nei comuni di Potenza e Materna il Pd governa con una coalizione ampia, che va dall'Udc a Sel. Gli esponenti locali del centrosinistra raccontano di un rapporto ricco di discussioni e dibattiti, ma proficuo. Poco più di un mese fa a Potenza è arrivato anche Pier Luigi Bersani. E il Pd, sospeso tra passato e futuro, guarda all'esperienza lucana con interesse. «È un modello di buon governo che si è consolidato negli anni anni», dice Davide Zoggia, responsabile Enti Locali nella segretaria nazionale. «Anche perché continua a innovare, nonostante le difficoltà delle regioni del Sud». La formazione di una coalizione così ampia che comprende Udc e Sel secondo Zoggia è «il frutto di una storia (quella del cattolicesimo democratico, ndr) che, legata al buon governo, ha attratto anche i centristi». E oltretutto «il tasso di litigiosità tra partiti è molto basso». E poi l'esperienza del federalismo «è stata accolta come una sfida positiva, c'è una grande volontà di sperimentazione e i fondi Fas sono stati spesi in maniera corretta». Tra le virtù dei democratici lucani il responsabile enti locali del Pd mette anche la capacità di saper creare classe dirigente. E le vicende giudiziarie? «Non hanno influito nella capacità di gestione amministrativa». Insomma è anche studiando il modello lucano che il Pd, forse, potrebbe arrivare alla maturità.