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Questo articolo è stato pubblicato il 05 dicembre 2010 alle ore 14:06.
L'ultima modifica è del 05 dicembre 2010 alle ore 14:39.
Camera chiusa, bocche fin troppo spalancate. E mentre i contendenti sparano l'uno contro l'altro raffiche verbali d'improperi, avvertimenti, ingiurie, mentre gli altolà rimbalzano perfino verso il Quirinale, in questa lunga attesa non ci resta che misurare i due scenari della crisi: il Parlamento vota la sfiducia, e dunque il governo di Silvio Berlusconi si dimette; il Parlamento conferma la fiducia, sicché l'esecutivo rimane ancora in sella. Ma davvero non c'è spazio per altre soluzioni?
A ragionarci sopra, le subordinate sono un altro paio. Per metterle in fila, dobbiamo anzitutto interrogarci sui fatti e gli antefatti della crisi. Sappiamo qual è la posta in gioco: un governo tecnico per il dopo Berlusconi, temuto dai primi come la peste nera, invocato dai secondi come una Madonna pellegrina. Ma perché il Pdl vuole a tutti i costi che il Senato s'esprima un minuto prima della Camera? E perché Berlusconi ripete a giorni alterni che non gli basta vincere per un voto di scarto, che lui punta viceversa a un sostegno più largo e più convinto delle assemblee legislative?
Da qui il terzo scenario: il governo incassa la fiducia del Senato, poi Berlusconi si dimette senza aspettare il voto della Camera, reclamando immediatamente un nuovo incarico, che a quel punto sarebbe pressoché impossibile negargli. E se poi non gli riesce di quadrare i numeri, se non coagula gli appoggi necessari al Berlusconi-bis, allora invoca lo scioglimento della Camera, tanto lui in Senato una maggioranza ce l'ha già. Oppure dopo la fiducia del Senato si sottopone alla sfiducia di Montecitorio, ma a quel punto sale al Quirinale chiedendo - di nuovo - la rielezione della Camera dei deputati, e soltanto di quella. Insomma un espediente per disinnescare la sfiducia trasformandola in mezza fiducia, per disarmare lo spauracchio del governo tecnico, per trasformare in suicidio collettivo il voto contrario dei deputati.
Riuscirebbe? In Bulgaria sì, in Italia no. Lì c'è un Parlamento monocamerale, da noi la mezza fiducia è sempre una sfiducia tutta intera. Per governare devi procurarti l'avallo di ambedue le Camere, altrimenti crisi, consultazioni e via: avanti un altro. Semmai il vero colpo che Berlusconi potrebbe avere in canna è il quarto scenario della crisi, quello che non t'aspetti, quello che spiazzerebbe l'opposizione e il Quirinale. Funziona così: l'esecutivo strappa la fiducia sia al Senato sia alla Camera, magari sul filo del rasoio. Dopo di che il presidente del Consiglio, anziché cantare vittoria a squarciagola, va da Napolitano con le dimissioni in mano. Per quale ragione? Perché non vuol finire come il governo Prodi, vivacchiando su un gruzzolo di voti ballerini. Ma soprattutto perché s'infilerebbe in tasca l'attestato che il Parlamento non sa esprimere maggioranze alternative. Dunque niente governi tecnici, anzi niente consultazioni, dato che le Camere sono state appena consultate attraverso il voto di fiducia. Dunque subito elezioni, ovviamente col porcellum, e perciò con il premio di maggioranza all'orizzonte per la coppia Bossi-Berlusconi. La fine di Fini, un controribaltone che a sua volta rovescia tutti gli altri ribaltoni.