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La Cina contro Liu Xiaobo: 19 paesi assenti alla consegna del Nobel per la Pace. E saranno 100

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Questo articolo è stato pubblicato il 07 dicembre 2010 alle ore 10:03.

Diciannove paesi saranno assenti alla cerimonia di consegna del premio Nobel per la Pace in programma a Stoccolma il 10 dicembre. Tutta colpa del vincitore del premio, il dissidente cinese Liu Xiaobo. La Cina, senza mezzi termini, ha asserito che «si può constatare molto chiaramente come la grande maggioranza della comunità internazionale non intenda partecipare alla cerimonia», ha detto la portavoce del ministero degli Esteri cinese, Jiang Yu, che ha continuato: «Più di 100 nazioni sono dalla nostra parte». Il Comitato del Nobel «sta organizzando una manifestazione anti-Cina - ha proseguito Jiang - e noi siamo contro chiunque interferisca nei nostri affari interni».

Il comitato del Nobel ha confermato che le nazioni che boicotteranno la cerimonia sono Russia, Kazhakistan, Colombia, Tunisia, Arabia Saudita, Pakistan, Serbia, Iraq, Iran, Vietnam, Afghanistan, Venezuela, Filippine, Egitto, Sudan, Ucraina, Cuba e Marocco.
In realtà il direttore del Comitato, Geir Lundestad, rispondendo a Pechino ha precisato che saranno 44 gli Ambasciatori che hanno confermato la loro presenza, mentre i 19 che hanno declinato l'invito lo hanno fatto «per diverse ragioni» e altri due non hanno risposto: «Basta guardare i numeri. La grande maggioranza dei paesi invitati sarà rappresentata», ha detto.

Alla cerimonia Liu non parteciperà, come nessuno dei suoi familiari, ai quali è stato negato il visto per l'espatrio. D'altra parte, anche la moglie di Liu è agli arresti domiciliari, mentre suo fratello di recente ha inviato un sms a un giornalista spiegando di essere «monitorato», di non poter rilasciare interviste e di poter solo starsene in silenzio.

Liu Xiaobo è stato processato nel dicembre 2009 e condannato a 11 anni di prigione per attività sovversiva, dopo aver preso parte, come primo firmatario, alla stesura di "Charta 08", un manifesto con il quale si chiedevano al governo riforme e un maggior rispetto dei diritti umani. Si trova detenuto in un luogo segreto.

Dopo che l'Accademia del Nobel lo scorso 8 ottobre ha assegnato a Liu il premio per la Pace, «per la sua lotta lunga e non violenta per promuovere i diritti umani fondamentali in Cina», Pechino ha accusato il paese scandinavo di voler mettere a repentaglio le relazioni internazionali e di onorare un «criminale». Chiaramente il governo cinese vuole anche impedire che Liu riceva il premio di 10 milioni di corone, pari a circa 1,25 milioni di euro.

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Una situazione analoga si verificò anche ai tempi della Guerra Fredda: nel 1975 il premio per la Pace venne assegnato al russo Andrei Sakharov, al quale Mosca non permise di prendere parte alla premiazione. In quel caso, però, fu la moglie a ritirare il premio. Nel 1983, fu un'altra moglie di un premiato, Lech Walesa, ad andare a Stoccolma. Sakharov e Walesa non sono passati alla storia come pericolosi criminali. Liu Xiaobo, inoltre, è il terzo premio Nobel per la Pace a non poter ritirare il premio perché in carcere: accadde anche a Carl von Ossietzky, nel 1935, prigioniero del regime nazista (non a caso, insomma), e nel 1991 il figlio di Aung San Suu Kyi, leader dell'opposizione recentemente liberata dal regime dittatoriale che governa la Birmania, lesse il discorso scritto dalla madre, agli arresti domiciliari. (Ch. B.)

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