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Il Pentagono spiazza il Congresso americano: è emergenza oceani per il cambiamento del clima

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Questo articolo è stato pubblicato il 10 dicembre 2010 alle ore 08:35.

«Il Pentagono non ha dubbi: il cambiamento climatico è una realtà inoppugnabile». Parola di David Titley, ammiraglio della US Navy, arrivato fino al vertice climatico di Cancun per portare la visione del Dipartimento della Difesa su un tema che, curiosamente, non sembra appassionare altrettanto il Congresso americano. Le implicazioni militari del riscaldamento planetario sono tutt'altro che irrilevanti. «L'Artico si sta riscaldando due volte più velocemente del resto del pianeta – osserva Titley, che è anche un oceanografo – col risultato che a metà secolo il passaggio a Nord-ovest risulterà aperto, e lo Stretto di Bering assumerà un'importanza strategica paragonabile a quella dello Stretto di Hormuz», dove transita il petrolio saudita.

Inoltre, «gran parte dell'anidride carbonica prodotta dalle attività umane viene assorbita dagli oceani e questo sta già provocando un sensibile aumento dell'acidità dei mari. Per milioni di anni, i crostacei si sono adattati a un Ph di 8, che ormai sta arrivando a 7,8. Sembra una quantità insignificante, ma che in realtà rischia di compromettere la loro esistenza, con risultati imprevedibili: cosa accadrà a quel miliardo di persone che traggono da lì i loro fabbisogni proteici?».

E qui arriva il punto cruciale. «Il climate change è un serio problema di sicurezza nazionale – assicura Amanda Dory, viceministro della Difesa, in videoconferenza da Washington – per il semplice motivo che potrà esacerbare le tensioni geopolitiche esistenti, aumentando le instabilità nazionali e internazionali. Per il Pentagono, le migliori guerre sono quelle che non saranno mai combattute». La prospettiva di instabilità sociali a livello regionali «con conflitti locali e migrazioni di massa – rimarca l'ammiraglio Titley – sono già nel nostro radar».

Ma le preoccupazioni dell'esercito americano non finiscono qui. «Il livello dei mari si sta alzando di 3,1 millimetri all'anno, il doppio di quanto avveniva il secolo scorso», prosegue l'ammiraglio Titley. «In questo scenario riteniamo che, alla fine di questo secolo, il livello degli oceani potrà alzarsi fino a un metro, con serie conseguenze ed evidenti implicazioni per la sicurezza nazionale». «Il dipartimento della Difesa ha 507 basi in tutto il mondo, con oltre 300mila edifici che hanno un valore complessivo di oltre 770 miliardi di dollari – ricorda Jeff Marqusee, direttore della Strategic research alla Difesa – e anche noi dobbiamo prepararci ad adattarci al riscaldamento planetario, per difendere le installazioni più a rischio».

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In compenso, il Dipartimento della Difesa sta operando anche per abbassare le proprie emissioni di anidride carbonica. Il Darpa, l'agenzia del Pentagono per la ricerca tecnologica, la stessa che ha inventato l'internet, «sta lavorando alla possibilità di impiegare le alghe per la produzione di biocarburanti – assicura il generale Juan Ayala, capo del Southern Command del Pentagono – anche se non solo nell'interesse dell'esercito».

Eppure il Congresso americano, che non ha voluto approvare il Climate Change Bill del presidente Obama e che a maggior ragione non lo farà oggi dopo la vittoria repubblicana alle elezioni di mid-term, resta sordo a questo appello accorato del suo esercito.

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