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Economia Lavoro

Bombassei: «Contratto auto, ma il nazionale vive». Sacconi: su Fiat intesa possibile prima di Natale

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Questo articolo è stato pubblicato il 12 dicembre 2010 alle ore 08:11.

Nessuno strappo con la Fiat. Piuttosto lo sforzo, comune, di individuare relazioni sindacali che possano rendere le imprese più competitive. Principi già fissati nella riforma della contrattazione che Confindustria ha firmato con Cisl e Uil due anni fa. Alberto Bombassei, vice presidente di Comfindustria per i rapporti sindacali, spiega in quale contesto si colloca l'esigenza dell'ad del Lingotto Sergio Marchionne di avere un contratto per l'auto e in quale direzione potranno evolvere i rapporti tra Fiat, Confindustria e Federmeccanica (che per mercoledì 15 ha convocato i sindacati per discutere sul contratto per l'auto).


Ingegner Bombassei, gli impegni presi con Fiat per un contratto dell'auto costituiscono una svolta epocale?
Di epocale, ma più semplicemente, di veramente importante c'è solo lo scenario economico internazionale di cui tutti dobbiamo prendere consapevolezza. Le relazioni sindacali, poi, sono solo uno strumento che dovrebbe aiutare le imprese e, quindi, il paese ad affrontare il cambiamento. Il compito delle relazioni sindacali è di determinare le condizioni per una maggiore competitività delle imprese per garantire un incremento dei redditi dei lavoratori attraverso la spinta all'innovazione e alla flessibilità produttiva. Concetti ben noti e che si ritrovano puntualmente nell'accordo interconfederale di due anni fa quando con Cisl e Uil abbiamo definito i nuovi assetti della contrattazione collettiva. Allora eravamo all'inizio dello tsunami che ha colpito l'economia mondiale e per questo abbiamo responsabilmente sentito la necessità di darci nuove regole per affrontare le sfide che si prospettavano all'orizzonte.

Quindi ciò che sta avvenendo con la Fiat rientra nelle regole ordinarie, senza strappi o abbandoni nei rapporti con Confindustria?
Direi di sì. Le questioni che la Fiat sta ponendo da mesi indicano l'elementare esigenza, comune a tutti gli imprenditori, di avere più affidabilità e più normalità in fabbrica. In ogni impresa, quando si decidono nuovi investimenti si ha la necessità di avere la certezza di poter gestire gli impianti, di rispondere nei tempi e con le condizioni richieste dalle regole della competizione internazionale. Se poi, come avviene per Pomigliano e Mirafiori, si aggiungono problemi di governabilità che affondano le radici nel passato e c'è la preoccupazione che, fatto l'investimento, ci si trovi a dover produrre a singhiozzo, con livelli ingiustificati di assenteismo o vedere le linee bloccate per giorni interi a causa di scioperi strumentali, è evidente la necessità di dover concludere accordi specifici per prevenire questi rischi.

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Sacconi: per la Fiat di Mirafiori accordo possibile prima di Natale

Un'intesa che sia condivisa tra Fiat e sindacati, senza «antichi pregiudizi o nuovi ideologismi»,

Tags Correlati: Alberto Bombassei | Attività sindacale | CGIL | Cisl | Commissione auto | Confindustria | Contratti di lavoro | Federmeccanica | Fiat | Sergio Marchionne | Uil

 

Un percorso specifico per gestire una situazione eccezionale?
In parte è così. Il nuovo investimento sarà realizzato attraverso la costituzione di una newco che come qualunque nuova attività, nel momento in cui nasce è fuori da qualsiasi sistema associativo. Ma è solo quella realtà a non aderire a Confindustria e non la Fiat che con tutti gli altri stabilimenti continua ad essere un associato di Confindustria, nelle Associazioni territoriali e nelle Federazioni di categoria. Quando la newco comincerà ad operare, i rapporti di lavoro saranno inizialmente disciplinati da un accordo collettivo aziendale cioè quello che a inizio dicembre l'azienda ha cominciato a negoziare con i sindacati a Torino. Quell'accordo aziendale dovrà prevedere, contrattandole, tutte le soluzioni necessarie per il miglior utilizzo degli impianti (turni, distribuzione degli orari, pause, utilizzo delle ore di lavoro straordinario, ecc.), con modalità operative anche innovative secondo le intese già raggiunte a Pomigliano. Il che significherà ancora una volta uno scambio di impegni fra le parti ma nessuna violazione di diritti né sul versante delle assenze (legittime) per malattia né sull'esercizio (legittimo) dello sciopero. Impegni invece per contrastare comportamenti illegittimi e furbeschi con palese danno per l'impresa ma soprattutto per la assoluta maggioranza costituita da tutti gli altri lavoratori.

Comunque lo strappo c'è nei confronti del contratto nazionale dei metalmeccanici che viene abbandonato.
Anche su questo aspetto voglio essere molto chiaro. Solo in parte si tratta di soluzioni studiate per affrontare una situazione eccezionale perché, di fatto, da tempo stiamo cercando di ragionare su come rendere le relazioni industriali funzionali ai mutamenti del mercato. A settembre, nel nostro convegno di Genova sul Lavoro, ho già posto la questione in modo preciso invitando i sindacati a riflettere sul fatto che la competizione internazionale ci pone la necessità di avere discipline specifiche per singole realtà aziendali o di comparto. Mentre intorno a noi è cambiato il mondo, dobbiamo seriamente chiederci se non occorra ripensare agli accorpamenti settoriali che sono stati costruiti cinquanta o sessanta anni fa in un contesto produttivo, tecnologico e di mercati, totalmente diverso da oggi. Sia noi che i sindacati diciamo che l'obiettivo è allargare il campo di applicazione dei contratti nazionali. Ma questo non può essere un vincolo. Razionalizzare il numero dei contratti nazionali è corretto, ma potrebbe risultare utile e necessario anche "specializzare" alcuni contratti nazionali lasciando fermo il modello unico valido per tutti e raggiungere specifiche intese per singoli casi e situazioni. A differenza di quel che alcuni stanno affermando in questo momento, non è la disintegrazione del contratto nazionale anzi è proprio il suo rafforzamento. Se non dovessimo immaginare soluzioni innovative allora sì che avremmo segnato la fine dei contratti nazionali perché poi le imprese potrebbero trovare nella contrattazione aziendale o territoriale l'unica risposta concreta alle reciproche esigenze. Attenzione allora che l'ansia di non innovare diventi poi la causa prima di una vera destrutturazione di un modello di assetti contrattuali che o si adegua o non può perpetuare, come alcuni vorrebbero, soluzioni di quando la nostra economia, specie la manifatturiera, non era esposta alla competizione globale.

Quindi contratti nazionali specifici per singoli comparti?
Sì, se e quando se ne dovesse manifestare la necessità. Oggi c'è il tema dei produttori di autovetture. Federmeccanica da settembre ha già deliberato l'avvio dei lavori di una "Commissione auto" incaricata di definire discipline contrattuali di livello nazionale per il comparto. Finora i sindacati hanno avuto qualche incertezza. È il momento che si assumano la responsabilità di discutere nel merito sapendo che appena quell'intesa sarà stata raggiunta avrà subito dei "clienti": le newco di Pomigliano e di Mirafiori applicheranno quel contratto nazionale iscrivendosi al sistema associativo di Confindustria.

Solo l'auto o anche l'indotto?
Le parti comincino a scrivere e poi potranno anche decidere il campo di applicazione. Come Confindustria siamo al loro fianco ma, come in tutti i settori, sta alle parti titolari del negoziato trovare le soluzioni adeguate. E sia chiaro: non è detto che un nuovo contratto nazionale, che sembra essere una "costola" del metalmeccanico, debba essere peggiorativo per i lavoratori. Questa è la posizione di chi non vuole misurarsi con la realtà. Il risultato che ne deriverà dovrà essere valutato nel suo complesso in termini di capacità di risposta alle esigenze che vengono poste da questo segmento di produzione. Salario, orario, inquadramento, relazioni sindacali, salute e sicurezza, sono i capitoli sui quali si costruiscono i contratti e per ognuno di questi le parti devono essere in grado di trovare i punti di equilibrio sapendo che ciò che si concorda poi deve essere rispettato da entrambe.

È un percorso che avrà il consenso anche della Fiom-Cgil?
Mi auguro di sì ma non come atto di ottimismo di maniera ma nell'interesse dei lavoratori. Siamo in presenza di soluzioni che tengono conto dei grandi mutamenti che stanno investendo l'economia a livello globale ma tuttavia rientrano nelle regole proprie del sistema di relazioni industriali: adesione a Confindustria, applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, applicazione di un contratto aziendale di secondo livello, con pieno rispetto di tutti i diritti dei lavoratori, delle prerogative sindacali, e delle ordinarie regole della contrattazione collettiva. Mi rendo conto della difficoltà di abbandonare pregiudiziali ideologiche ma voglio fare affidamento sulla maturità di un grande sindacato come la Cgil anche se le prime dichiarazioni della Fiom non lasciano ben sperare. L'alternativa è avere una fase di conflittualità aziendale di cui certo né i lavoratori né il paese hanno bisogno. Ruolo ed utilità dei soggetti delle relazioni industriali si misurano proprio in occasioni come queste.
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