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Questo articolo è stato pubblicato il 23 dicembre 2010 alle ore 16:40.

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L'abc della riforma Gelmini, come cambia l'università in Italia (Fotogramma)L'abc della riforma Gelmini, come cambia l'università in Italia (Fotogramma)

Università non statali (articolo 12). Al fine di incentivare la correlazione tra la distribuzione delle risorse statali e il conseguimento di risultati di rilievo nella didattica e nella ricerca, è previsto che una quota non superiore al 20% dei contributi stabiliti dalla legge 243/1991, relativi agli atenei non statali legalmente riconosciuti, sia ripartita sulla base dei criteri stabiliti dall'Anvur. Gli incrementi sono disposti annualmente con decreto di viale Trastevere, in misura compresa fra il 2% e il 4 per cento. La misura dell'incremento è determinata tenendo conto delle risorse complessivamente disponibili e dei risultati conseguiti. Queste previsioni non si applicano alle università telematiche, a meno che non siano ricomprese in un decreto dell'Istruzione.

Valorizzazione professori e personale (articolo 6). Professori e ricercatori, anche a tempo determinato, devono entrare in aula e tenere lezioni o seminari. L'impegno viene misurato in 1.500 ore annue, di cui, almeno 350 destinate ad attività di docenza e servizio per gli studenti, se rientrano nel regime di tempo pieno. Si scende a 250 ore per quello di tempo definito. Si prevede poi che i ricercatori a tempo indeterminato, gli assistenti del ruolo a esaurimento e i tecnici laureati, che hanno svolto tre anni di didattica, oltre che i professori incaricati stabilizzati, possano svolgere con il loro consenso: corsi, moduli curriculari, attività di tutoraggio e di didattica integrativa. Acquisiscono il titolo di professore aggregato ma solo per l'anno accademico in cui svolgono tali corsi, pur mantenendo però il trattamento economico originario. Ma conservano il titolo di professore aggregato anche nei periodo di congedo straordinario. L'opzione per il tempo pieno o definito si sceglie all'atto di presa in servizio. Nel caso di passaggio dall'uno all'altro regime serve una domanda da presentare almeno sei mesi prima dell'inizio dei corsi. Viene rimessa poi al regolamento di ateneo l'individuazione delle modalità per certificare l'effettivo svolgimento delle attività didattiche e di servizio agli studenti da parte dei professori e ricercatori. In ogni caso viene fatta salva la competenza esclusiva dell'ateneo a valutare i propri docenti. E in caso di giudizio negativo, scatta l'esclusione dalle commissioni di abilitazione, selezione e progressione di carriera del personale, oltre che dagli organi di valutazione dei progetti di ricerca. Sul fronte delle incompatibilità poi si conferma che la posizione di professore e ricercatore è incompatibile con l'esercizio del commercio e dell'industria. È fatta salva la possibilità di costituire società con caratteristiche di spin off o di start up universitari (Dlgs 297/1999). L'attività a tempo pieno è però incompatibile con l'esercizio di attività libero-professionale. Quella a tempo definito no, salvo conflitti d'interesse. Si prevede poi che i docenti a tempo pieno possano svolgere (anche retribuiti) attività lezioni e seminari a carattere occasionale, attività pubblicistiche ed editoriali, consulenze. Serve invece il nulla osta del rettore per svolgere ricerche o ricoprire incarichi presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro: sempre che non ci siano conflitti di interesse. Se c'è l'accordo tra università, i docenti a tempo pieno possono svolgere attività didattica e di ricerca presso altri atenei. Gli accordi in ambito sanitario dovranno essere definiti d'intesa con le regioni. Professori e ricercatori sono tenuti a presentare una relazione triennale sul loro operato, con la richiesta di scatto stipendiale. Se il giudizio dell'ateneo è negativo la richiesta dello scatto può essere rinnovata dopo un anno. I soldi per il mancato scatto vanno nel fondo per premiare i docenti.

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