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De Siervo: la Consulta deciderà sul legittimo impedimento giovedì 13 gennaio

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Questo articolo è stato pubblicato il 11 gennaio 2011 alle ore 11:44.

La decisione dei giudici della Corte costituzionale sul legittimo impedimento, la legge 51 del 2010, sarà presa giovedì 13 gennaio: lo ha detto il presidente della Consulta, Ugo De Siervo annunciando «che la camera di consiglio su questa causa inizierà alle 9,30 di giovedì prossimo». Stamane intanto ha preso il via, con un'udienza pubblica, la discussione sulle censure d'incostituzionalità alla legge per la quale il premier Silvio Berlusconi è al riparo dalla ripresa dei tre processi a suo carico (Mills, Mediaset e Mediatrade) almeno fino al prossimo ottobre. Presente anche il giudice Maria Rita Saulle, la cui partecipazione era stata data in forse nei giorni scorsi per problemi di salute. Il collegio è dunque al completo con i suoi 15 componenti. E in una Corte in bilico anche un voto può essere determinante.

I ricorsi dei magistrati milanesi
Tre i ricorsi dei magistrati di Milano che sullo "scudo" lamentano la violazione dell'articolo 138 Costituzione (necessità di una legge costituzionale) e dell'articolo 3 Costituzione (irragionevole sproporzione tra diritto di difesa ed esigenze della giurisdizione). Il giudice relatore è il giurista Sabino Cassese. Per Berlusconi presenti gli avvocati, Niccolò Ghedini e Piero Longo, mentre per la presidenza del consiglio dei ministri gli avvocati dello Stato, Michele Dipace e Maurizio Borgo.

Ghedini: sono ottimista per definizione
Niccolò Ghedini, in una quindicina di minuti d'arringa, ha ribadito che la legge sul legittimo impedimento «non sostituisce o abroga l'articolo 420-ter del codice di procedura penale (che regola l'assoluta impossibilità a comparire dell'imputato per causo fortuito o forza maggiore), ma si limita a tipizzare l'impedimento del premier pur conservando la facoltà di apprezzamento del giudice che la legge gli attribuisce». Ghedini si è detto comunqe ottimista «per definizione» sul buon esito della causa. E, nel sottolineare che anche precedenti sentenze della Consulta hanno indicato l'apprezzamento da parte del giudice sui casi di impedimento dell'imputato, Ghedini ha voluto anche rispondere a una specifica domanda del giudice relatore, Sabino Cassese, che invitava i difensori a chiarire quanto il potere di controllo del giudice sui casi di legittimo impedimento di premier e ministri potesse svolgersi sulla «consistenza del fatto e dell'evento o anche sulla sua concomitanza». Ghedini porta come esempio i casi di malattia dell'imputato impossibilitato a presentarsi in udienza: «Se c'è una patologia invalidante - sottolinea - non si può negare l'apprezzamento da parte del giudice sul punto».

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Longo: già in ordinamento la possibilità di sospendere il processo
Dal canto suo l'avvocato Piero Longo ha ricordato come la sospensione del processo sia già prevista dal nostro ordinamento: «all'articolp 159 del Codice penale sostanziale, che disciplina la possibilità di sospensione del processo penale su richiesta della difesa». «È pacifica nel nostro ordinamento - ha detto Longo - la legittimità del rinvio, anche al di fuori del legittimo impedimento, nel caso in cui ne faccia richiesta la difesa. Il giudice rimane arbitro assoluto della richiesta di rinvio del processo, peraltro legittimo. Anzi, il periodo di sospensione può essere anche più lungo rispetto a quello previsto dalla legge n.51 (legittimo impedimento) nelle ipotesi previste dall'art.159 del Codice penale sostanziale». Secondo il legale, quindi, non ci sarebbe un'incostituzionalità della legge sul legittimo impedimento perchè l'ordinamento già prevede anche per il semplice cittadino la possibilità di sospensione del processo.

Dipace: il giudice non può sindacare il merito dell'impegno
«Nei casi di legittimo impedimento coessenziale all'espletamento di un impegno istituzionale concomitante all'udienza, il giudice non può fare alcun apprezzamento di merito e ha il dovere di rinviare la causa e di programmare un nuovo calendario delle udienze», ha spiegato l'avvocato dello Stato, Michele Dipace. «Il giudice - ha detto Dipace - non può sindacare su un Consiglio dei Ministri: la natura di questa legge non è volta a creare l'immunità ma a tutelare il diritto alla difesa dell'imputato, qualora questi sia impossibilitato a essere presente per impegni istituzionali. L'applicazione dell'istituto va modulata sull'entità dell'impegno e non c'è automatismo come invece si sostiene». La ratio della legge sul legittimo impedimento, conclude l'avvocato Dipace, «contrariamente a quanto ritenuto dal giudice rimettente, non solo non viola la Costituzione ma ha anche tenuto conto dei principi affermati dalla Corte» sul lodo Alfano.

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