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Alla Consulta si decide sul legittimo impedimento. Verdetto atteso giovedì

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Questo articolo è stato pubblicato il 11 gennaio 2011 alle ore 09:03.

Il legittimo impedimento approda stamattina alla Corte costituzionale tra mille incognite sul verdetto finale. La legge 51 del 2010 potrebbe sopravvivere o morire con lo scarto di 1-2 voti e all'esito di uno scontro senza precedenti. Tante le variabili destinate a pesare sulla decisione finale, prevista per giovedì, a cominciare dalle valutazioni politiche che, benché estranee al giudizio di costituzionalità, rischiano di intrecciarsi a quelle strettamente giuridiche.

Queste ultime, sulla carta, dovrebbero portare a una bocciatura dello «scudo» varato per sospendere i processi Mills, Mediaset e Mediatrade in cui il premier Silvio Berlusconi è imputato di corruzione giudiziaria, frode fiscale e appropriazione indebita. Ma la bocciatura stessa può andare dall'illegittimità totale a quella parziale, passando per la «soluzione intermedia» – meno traumatica politicamente, ma non giudiziariamente – della sentenza «interpretativa di rigetto», con cui la legge viene salvata a condizione che sia il giudice a valutare di volta in volta la fondatezza dell'impedimento fatto valere dal premier. In tal caso si rimetterebbero in moto i processi milanesi, che altrimenti resterebbero congelati fino ad ottobre 2011.
L'«interpretativa di rigetto» non piace a Piero Longo e a Niccolò Ghedini, che oggi difenderanno la legge davanti alla Consulta in quanto avvocati del premier. Quest'ultimo, peraltro, ha già minacciato fuoco e fiamme se la Corte gli darà torto, preannunciando un'offensiva mediatica contro la «persecuzione» dei magistrati di Milano, definiti «un'associazione a delinquere». Nel mirino, in particolare, il pm Fabio De Pasquale, al quale Berlusconi ha dato del «famigerato» guadagnandosi, proprio ieri, la dura reprimenda del Csm: la prima commissione ha infatti approvato a maggioranza (con il voto contrario del laico della Lega Matteo Brigandì) la cosiddetta "pratica a tutela" del pm, riconoscendo che Berlusconi lo ha denigrato con accuse infondate (dicendo, tra l'altro, che aveva provocato il suicidio di Gabriele Cagliari ai tempi di Mani pulite), denigrando e delegittimando al tempo stesso l'intera magistratura.

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La partita sul legittimo impedimento comincerà alle 9,30 nella settecentesca sala gialla al secondo piano di palazzo della Consulta. Da ieri, il popolo viola si è dato appuntamento nei pressi della Corte per «illuminare», con un presidio di candele e piccole fiaccole, la decisione dei giudici e metterla al riparo «dai tentativi di condizionamento che si susseguono da tutte le parti». Più di cento i giornalisti di carta stampata, radio e tv, italiani e stranieri, presenti a quello che viene ormai vissuto come un evento cruciale per le sorti del governo. Questo, infatti, è il significato politico che si è voluto dare alla decisione della Corte. E che rischia, appunto, di inquinarla.
«Stavolta davvero nessuno sa come andrà a finire» diceva ieri, più d'uno, a palazzo della Consulta. A parte il giudice Luigi Mazzella, che ha ritenuto di dover anticipare pubblicamente il suo pieno appoggio alla legge 51, gli altri non si sbilanciano, anche se, sulla carta, se ne contano 6 (tra cui quelli di area Pdl come Giuseppe Frigo e Paolo Maria Napolitano) sulla sua stessa linea, mentre 7 sarebbero propensi a una bocciatura, tra cui il relatore Sabino Cassese. Un paio gli incerti. Peraltro, anche tra i fautori dell'illegittimità ci sono sfumature: per alcuni la legge è assolutamente incostituzionale perché configura una prerogativa e non la semplice integrazione di un istituto processuale già previsto dall'articolo 420 ter del Codice di procedura penale oppure perché determina un irragionevole sbilanciamento tra le esigenze della giurisdizione e quelle della difesa; per altri è invece incostituzionale solo in alcuni punti, là dove, ad esempio, estende l'impedimento alle attività «preparatorie o conseguenti» nonché ad ogni «attività comunque coessenziale alle funzioni di governo». Una soluzione su cui potrebbe convergere qualche fautore della bontà della legge, contrario invece all'ipotesi di un'«interpretativa di rigetto» che cancelli l'automatismo della legge e restituisca al giudice il potere di valutare di volta in volta l'impedimento, bilanciando gli interessi in gioco, così come la Corte aveva già affermato nel 2001 e 2005 (sentenze sul caso Previti) e ribadito con la sentenza del 2009 sul Lodo Alfano.

Tra le numerose variabile c'è anche quella del referendum sulla legge promosso da Antonio Di Pietro, su cui la Corte dovrà pronunciarsi domani (insieme a quelli sul nucleare e sulla privatizzazione dell'acqua). In caso di via libera, la consultazione popolare potrebbe saltare solo se la legge fosse bocciata integralmente, mentre in caso di illegittimità parziale o di «interpretativa di rigetto» sarà la Cassazione, successivamente, a decidere se il referendum ha ancora ragion d'essere.

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